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A Vasto siamo solo davanti a un inaccettabile assassino, da 'Huffingtonpost'

Redazione
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Non stavo con Stacchio e non sto con Fabio De Lello e non sto con nessun giustiziere di questo mondo. Che l'umana simpatia, quella che mi spingerebbe a pensare "poveretto, chissà quanto è stato male per tutti questi mesi", non voglio concedermi di provarla.

E non perché io sia cattiva, ma perché credo, fermamente e con tutte le mie forze, nel principio (laico) della tutela della vita di tutti, anche degli assassini che pure questo principio lo calpestano.

C'è una ritualità premeditata nell'omicidio che poche ore fa si è consumato a Vasto, una ritualità che indica come per 7 mesi, 215 giorni, 5160 ore, Fabio Di Lello abbia coccolato l'idea di vendicare una morte (accidentale) con un'altra (pianificata). E non c'è dolore che tenga, se non vogliamo ritrovarci a vivere in una giungla dove la sola legge che conta è quella del più forte o del meglio armato. Non c'è una sola giustificazione all'omicidio di un ragazzino di 22 anni la cui colpa era grave sì, ma meritava di essere giudicata da un tribunale composto di ragione, non da un uomo fatto di dolore.

Perché, sì, questa storia fin dal suo inizio è la storia di un dolore grande: una giovane donna che muore scaraventata contro un semaforo dopo essersi schiantata contro l'auto guidata da Italo, quel ragazzino che diventa, per caso e suo malgrado, un assassino. Una storia di dolore come mille e mila altre in cui a perdere la vita sono stati figli, padri, madri, mogli e mariti di persone che non si sono armate di una semiautomatica per chiudere il cerchio della loro sofferenza.

Molte hanno avuto la consolazione, piccola, minuscola, infinitesimale, di una giustizia che ha condannato, altre sono ancora in attesa di ottenerla, quella giustizia, alcune non l'hanno mai avuta eppure hanno continuato vivere con il cuore appesantito ma con le mani in tasca.

Il dolore non può essere la giustificazione per una vendetta. Non può essere un'attenuante per un omicidio costruito su 4 colpi sparati a bruciapelo addosso a un ragazzino. Se lo diventa si crea un precedente pericolosissimo per il mantenimento della democrazia e dell'ordine.

E del resto la morte di un assassino non restituisce al mondo la sua vittima, non compensa la perdita. Genera altro dolore in una spirale di cui non si intravede la fine, confusa con l'inizio. Ieri a piangere era Fabio, oggi a farlo sono i genitori di Italo. Ma la differenza tra quelle lacrime è sostanziale: Fabio piangeva l'accanimento del destino, l'incidentalità della sorte; i genitori di Italo piangono la volontarietà di un'azione.

Oggi leggo in giro la narrazione della sofferenza di un assassino, leggo, tra le righe, una sorta di umana comprensione per quei 4 spari. Leggo la narrazione tendenziosa di una storia in cui si tratteggia il carattere troppo umano dell'assassino (uomo buono e innamorato, gentile anche quando si è costituito ai Carabinieri) e si trascura di raccontare la tragedia di una vita che a 22 anni doveva essere ancora vissuta. Perché era quella del responsabile dell'inizio di questa storia, un assassino suo malgrado, che non suscita simpatia che, non fosse stato per lui...

Ma non scherziamo: gli incidenti capitano ogni giorno. Le persone muoiono ogni giorno sulla strada, ma i loro parenti non si trasformano in dolenti vendicatori. Ed è questo che deve ricordare chi giudicherà quest'uomo.

Non siamo in un fumetto romantico dove esistono eroi giusti e antagonisti terribili. Siamo in quel che resta della vita reale dove un uomo non ha saputo vivere il lutto del suo dolore e lo ha inteso come un inaccettabile affronto cui replicare con l'eliminazione di colui che lo aveva commesso.

Se non stessimo parlando di un uomo innamorato sareste d'accordo con me. Perché al netto di tutta la prosa romantica che si sta scrivendo su questa storia, siamo davanti solo a un assassino.http://www.huffingtonpost.it/deborah-dirani/vasto-linaccettabile-omicidio-di-un-assassino_b_14569274.html

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