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La storia della sepolta viva di Castel del Giudice che partorì nella tomba.Il caso sul Times e sul New York Times  di Nicolino Paolino  

Redazione
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IL CASO/ Incredibile episodio di cronaca giudiziaria nel 1876: donna data per morta dal medico diede alla luce un bimbo nella fossa carnaria in cui era stata seppellita. A processo, presso il tribunale di Isernia, il medico, sindaco e becchino. Il caso sul Times e sul New York Times. Di NicolinoPaolino     

"Isernia 4 dicembre 1876. In un’aula del tribunale, presumibilmente  molto affollata, sta per essere emessa la sentenza riguardo ad un procedimento che ha dell’incredibile. Seduti sul banco degli imputati attendono, con trepidazione, le decisioni sulle richieste del Pubblico Ministero Nicola Durante i tre imputati del processo: C.P. di anni 48 Dottor Fisico di Castel del Giudice “ammogliato con figli, non pregiudicato”, N.D.S. sindaco di Castel Del Giudice “ammogliato con figli, mai carcerato o processato” e A. C. di anni 63 ”beccamorti, ammogliato con figli mai carcerato o processato”. I fatti erano avvenuti diversi mesi prima, esattamente il giorno 5 agosto 1875, in uno dei tanti paesi sperduti dell’Appennino: Castel del Giudice. Le accuse pesantissime; il medico era accusato di “doppio omicidio involontario per negligenza o imperizia nell’esercizio dell’arte che professa in persona di F. D’A. e di una creatura da essa partorita nella tomba ove era stata sepolta viva”. Sul secondo pendeva la stessa accusa oltre alla contravvenzione alla legge di P.S. “per aver ordinato il seppellimento della ripetuta D’A. senza attendere le ore stabilite dalla legge”. Il terzo con gli stessi capi d’accusa del Sindaco. Le “quistioni” aperte e che il processo avrebbe dovuto chiarire erano diverse: la prima: ”F.D’A. fu sepolta viva, partorì nella tomba, ed il feto nacque vivo e vitale?”. La seconda riguardava le responsabilità del medico e del sindaco congiuntamente. Era da chiarire perché il sindaco non avesse rispettato le “disposizioni del regolamento di Stato Civile”. La terza se “la negligenza e l’imperizia dei detti C.P. e D.S. costituiscono il reato previsto e punito dall’Art. 554 del Codice Penale (omicidio involontario o, come è denominato oggi, omicidio colposo)”. Seguivano altre 4 “quistioni” riguardanti attenuanti, il terzo imputato, a quali pene dovevano condannarsi gli imputati ed i danni. Tutto ciò è riportato nella sentenza riguardante il processo conservata nell’archivio di Stato di Isernia.

Ma cosa avvenne quel 5 agosto 1875? La sventurata, come si legge nelle carte, “fu assalita dai dolori del parto. Chiamata la levatrice, costei ebbe a convincersi che il parto sarebbe riuscito laborioso, ma sulle prime credette di non aver bisogno dell’opera di un medico. Però i dolori incalzavano, le forze mancarono alla D’A. in modo da preoccupare tutti gli astanti e decidere la levatrice a far chiamare in tutta fretta il prete ed il Dottor P.. Giunse prima il prete che credette moribonda la D’A. cui dette l’assoluzione, venne poco dopo e propriamente nel momento in cui la D’A. finì di boccheggiare il Dottor P. che, osservato l’addome, disse essere morta e che troppo tardi si fece a lui ricorso. Nell’andarsene fu fermato dalla levatrice che disse al medico che avesse cercato di operare la voluta morta per estrarre il feto, ma il P. rispose che anche il feto era morto e che inutile era qualsiasi operazione. Fu allora che nessuno ebbe più a dubitare della morte della D’A., che come morta , venne accomodata nel piccolo suo tugurio, dove restò fino alle 24 di quel giorno. Venne quindi trasportata in chiesa ove restò per le cerimonie di rito fino alle 17 del giorno susseguente. Venne quindi trasportata al Camposanto per essere sepolta dai suoi parenti. Bisognava scenderla nella fossa e si credette di affidare ad una corda il voluto cadavere, però la corda si ruppe ed il povero corpo della D’A. cadde ad una certa altezza in modo da urtare con il cranio contro una cassa mortuaria. Discese alcune persone, ripresero la D’A. e la deposero supina su di altra cassa mortuaria vicina, dove restò col volto cadaverico, colle mani legate e poggiate sull’addome e colle gambe strettamente riunite mercè cucitura delle due calze. In tal modo e non altrimenti la D’A. fu lasciata dai presenti che la seppellirono.  Nel dì 7 del detto mese ed anno la necessità di tumulare altra ragazza defunta fece riaprire la fossa. Accorsa la germana della F. D’A. per dare l’ultimo saluto alla sorella defunta ma appena le fu possibile spingere lo sguardo verso il luogo dove la sorella venne deposta ebbe ad osservare il miserando spettacolo della sorella situata in posizione ben diversa da quella in cui fu lasciata ed avente tra le gambe il feto che nella tomba aveva dato alla luce e col quale nella tomba stessa miseramente morì. L’atrocità del caso non si contenne nell’angusto recinto di Castel del Giudice ma fu tale da commuovere la pubblica opinione. Accorse immediatamente la giustizia che trovò il cadavere della D’A. posare nella tomba sul lato sinistro ed il volto fortemente contratto, colle mani che legate con il nastro di cotone bianco formavano arco colle braccia e poggiavano sulla testa, con dei brandelli di nastro bianco tra i denti……Ai piedi della madre giaceva il neonato di sesso maschile col funicolo ombelicale e con le membra ben proporzionate e sviluppate…….In seguito a siffatte osservazioni si procedette oltre e dopo svariati esperimenti suggeriti dalla scienza si assodò che il feto nacque vitale e vivo e che la disgraziata D’A. presa da forte sincope, fu creduta morta e sepolta ma rinvenutasi aveva partorito e poscia morta per lo spavento avuto nel vedersi viva  in una tomba assediata da cadaveri, per la mancanza di aria, per mancanza di aiuto e nutrimento e per le perdite conseguenti allo sgravo

Ho evitato di riportare altri particolari che erano stati inseriti per descrivere ciò che era accaduto in quella che si definiva una fossa carnaria, una delle modalità di sepoltura che in molti luoghi del sud veniva ancora usata sul finire dell’ottocento, assolutamente illegale ma ben accetta nella tradizione dei morti. Nel 1885 erano ancora 682 i comuni in cui si continuava tale pratica mentre in 274 i cadaveri venivano seppelliti nelle chiese con i gravissimi problemi igienici che ciò comportava. Inoltre, in 2720 comuni l’incaricato dal sindaco di ispezionare  i cadaveri non era medico. Al tempo stesso era iniziata la pratica della cremazione a Milano, Roma, Brescia, Cremona e Udine. Era uno degli aspetti della questione sanitaria che fu analizzata nel 1885 da una ponderosa indagine denominata “Inchiesta sulle condizioni sanitarie sui comuni del Regno” Tornando al processo, vi fu un aspro confronto tra il pubblico ministero e la difesa che in tutti i modi  cercò di alleggerire la posizione del medico. Quest’ultima invocò, per spiegare la posizione in cui fu trovata la D’A., gli effetti “da corrente elettrica o putrefazione”. Nella sentenza il Collegio giudicante sottolineò che “essa non può certamente produrre che il cadavere avvicini i suoi polsi ai denti e che questi roda il nastro di sopra indicato e molto meno gli altri movimenti di cui sopra è parola”. Durante il processo si scatenò una disputa tecnico legale volta a dimostrare che il parto fosse dovuto alla “rilasciatezza”. Di contro la perizia sottolineava come la nascita non sarebbe potuta avvenire e che senza  “le contrazioni dell’utero, impossibili ad aversi in un cadavere, il feto non può uscire”.

Possiamo immaginare anche momenti di tensione durante il dibattimento quando la difesa diede dell’asino al perito “chiamato dalla giustizia” a verificare “se vivo nacque il feto”. Secondo questa, non erano stati seguiti i dettami che “i diversi autori di medicina legale suggeriscono e credono opportuni per raggiungere un siffatto scopo”. Gli esami autoptici furono eseguiti dal Dottor Pollice “che non merita censura, anzi lode per avere con precisione eseguito l’incarico che dalla giustizia gli venne affidato”. La prova definitiva derivò dalla docimasia polmonare, esame che stabilì come i polmoni del feto, inequivocabilmente, contenessero aria. A sua discolpa, il medico addusse motivazioni talmente deboli da suscitare la reazione stizzita del collegio. Nella sentenza si sottolinea che “se si fosse indotto ad operare il miserando spettacolo che rattristò la pubblica opinione forse non avrebbe avuto luogo giacchè ben poteva la D.A. riaversi al primo colpo di bisturi che riceveva dal chirurgo”. Riguardo al Sindaco, si evidenziò la totale inosservanza della legge riguardo ai tempi minimi richiesti per la tumulazione e per la superficialità con cui tale pratica veniva espletata. Infatti, questi dichiarò che, per consuetudine, di tutto ciò si occupava l’Arciprete! I

due furono condannati entrambi a sei mesi di carcere ed a 51 lire di multa in quanto colpevoli di “due omicidi accompagnati da circostanze gravissime”. Contro la sentenza si fece ricorso in Appello e circa un anno dopo, nel novembre del 1877 fu emesso un nuovo verdetto che dimezzò le pene inflitte dal Tribunale di Isernia. Poiché il nuovo processo si tenne a Napoli, immediatamente si diffuse la notizia dei fatti. Tra gli osservatori della vicenda troviamo il corrispondente da Napoli del Times che scrisse, per gli standard londinesi, un lungo articolo in cui si raccontava l’intera vicenda. Iniziava, in data 27 novembre 1877, in questo modo:

Un caso fu deciso la scorsa settimana davanti alla Corte di Appello riguardante il caso più straziante di cui avessimo sentito parlare da tempo immemore. Racconto ciò non per il sensazionale effetto quanto per l’interesse di alcune osservazioni che esso suscita.” Dopo aver descritto gli avvenimenti, il corrispondente rimane molto colpito dalla diminuzione della pena e  dalla “sovereign indulgence” che evitò il carcere ai condannati. Tutto ciò “avvenne in perfetta legalità, considerate le circostanze del caso, se ben analizzato, mostrano lo scarso valore attribuito alla vita umana in questa nazione, o l’imperfetto impegno che esiste per la sua protezione. Il medico condotto è nominato dai membri del Consiglio, soggetto all’approvazione del Prefetto della Provincia e poiché la parola d’ordine è risparmio, viene offerto uno stipendio a stento sufficiente, a volte, a tenere insieme anima e corpo. La salute della comunità non è altrettanto importante  come i risparmi sui fondi del comune. Com’è possibile che compiti così importanti siano così mal retribuiti?......Ne consegue che nessuno con capacità professionali o ambizioni accetterebbe una simile nomina e che il tasso di mortalità nei piccoli comuni vengano spaventosamente aumentati dall’inesperienza di medici incompetenti o dall’ottusità di alcuni anziani, individui inservibili che hanno sfiancato la pazienza del mondo. Se il diritto penale, cosi come viene amministrato, sacrifica vite umane, dietro compenso per l’assassino, il diritto comune o la pratica comune, mediante tale colpevole economia, in un caso di estrema importanza ne uccide migliaia. Sto parlando di qualcosa che conosco bene e che, con l’esperienza di molti anni, è stata penosamente portata davanti ai miei occhi. Sia il direttore della scuola che il medico, nonostante gli obblighi relativi al primo, sono spesso remunerati con i più bassi stipendi possibili, un male che si è molto accresciuto….Sono più preoccupato, al momento, a come si è provveduto alla salute e alla vita dei poveri di grandi comunità che il medico condotto è chiamato a servire. E’ difficile suggerire un rimedio per tutti i mali lamentati, ma mi è chiaro che una vigilanza, di gran lunga più attenta, dovrebbe essere esercitata da colui che è chiamato a prendersi cura dei più deboli della nostra razza e che uno stipendio molto più alto dovrebbe essere pagato obbligatoriamente, in proporzione alle entrate del comune, per i suoi servizi. Del medico condotto di Castel del Giudice non so nulla; ma ho avuto tristi esperienze di molti altri medici sotto i cui auspici la morte ha ottenuto abbondanti raccolti

Ciò a cui faceva riferimento il corrispondente era la generale questione sanitaria che si era palesata, soprattutto al Sud, dopo l’Unità d’Italia. L’articolo del Times ebbe vasta eco in tutto il mondo e fu ripreso da quotidiani britannici ed americani. Anche il New York Times, in data 24 dicembre 1877, riportò i fatti accaduti seppur in maniera incompleta. Furono decine i quotidiani che rilanciarono la notizia: dal Wisconsin alla Scozia, dall’Irlanda all’Ohio. Sintomo dell’eccezionalità estrema attribuita ai fatti in un’epoca in cui l’ordinario era, normalmente, di gran lunga peggiore di quanto noi, oggi, possiamo sforzarci di immaginare".

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