Fra due giorni celebreremo la festa del santo Natale. Lo faremo tranquillamente, senza provare nessuna emozione. Per molti Natale è un’abitudine. Un giorno segnato in rosso sul calendario e che la tradizione vuole sia vissuto in famiglia. Una festa come un’altra. La maggior parte di noi farà le solite spese superflue, a dispetto della crisi che continua e con cui siamo costretti a fare i conti in tutti i restanti giorni dell’anno.
Nelle Chiese, frequentate per l’occasione, risuoneranno i canti natalizi che conosciamo a memoria. Nelle Messe i sacerdoti ripeteranno il messaggio del Natale: Dio si è fatto uomo e ha assunto i dolori, le gioie, le delusioni, le lacrime, le disperazioni, di tutti gli uomini e le donne della terra. Il Bambino adagiato nella mangiatoia da Maria e Giuseppe è il Figlio di Dio che ci ama di un amore senza limiti.
Sembra una rievocazione scontata, ma se solo sospendiamo per un attimo l’indifferente fluire degli atti scontati, segnati e resi ipocriti dall’abitudine, e poniamo la nostra attenzione sul significato profondo di questi momenti, delle stesse cose che compiamo senza particolari emozioni, ci accorgiamo che il Natale non è e non potrà mai essere un giorno festivo uguale a tutti gli altri. Il Natale è una festa della comunità, dell’apertura all’altro; è l’occasione per rimettere a posto i nostri conti con i nostri simili, i nostri fratelli e le nostre sorelle che con noi condividono il cammino su questa terra di tut
Mi ha sempre colpito il fatto che gli evangelisti, nella grotta di Betlemme, non pongono degli uomini soli, ma sempre gruppi di persone: i pastori vanno insieme a vedere con i loro occhi il Bambino appena nato. I Magi arrivano insieme ad adorare il Bambino. Il Natale chiede ad ognuno di ascoltare il pianto del Bambino che implora aiuto e protezione. Per questo il Natale non deve essere solo una festa da celebrare in famiglia, ma è l’invito a guardare i volti degli altri. Il mondo che ci circonda è malato di egoismo, solitudine, razzismo, indifferenza, i poveri aumentano ogni giorno e tanti operai si ritrovano senza il lavoro che da dignità alla vita
Oggi, chi più e chi meno, tutti siamo portati a dare importanza a ciò che è vistoso, appariscente, brillante. Viviamo dentro una civiltà dello spettacolo e dell’immagine. Dobbiamo riflettere tutti insieme se è questa la risposta giusta al pianto di quel Bambino che sollecita il nostro sguardo e ci dice di rivolgerlo, rivolgendolo a lui, a tutte le persone che vivono da soli i loro drammi e possono uscirne solo se tutta la comunità saprà capirli e affrontarli.
Quest’anno – io credo – che il nostro sguardo debba rivolgersi ai tanti che, anche da noi, nei nostri piccoli paesi, sembrano posseduti senza speranza da una passione che ne stravolge le vite, ne condiziona i rapporti con le stesse persone che sono loro più vicine. Solitudine, voglia di essere pari ai miti della società dell’immagine e del fittizio benessere: c’è sicuramente tutto questo nelle motivazioni che spingono tante persone a “cercare” la fortuna giocando alle cosiddette WP, chiamate anche “New Slot” cioè apparecchi elettronici che accettano solo monete.
Nei giorni scorsi l’Agenzia delle dogane e dei Monopoli ha diffuso i dati delle somme consumate nelle slot machines nell’anno 2016. In ventisette paesi (quelli in cui si trovano le “macchinette”) della nostra diocesi di Trivento si spendono 15.575.020 di euro! La cifra è terrificante.