Partecipa a Alto Molise

Sei già registrato? Accedi

Password dimenticata? Recuperala

Agnone, seminario di formazione sulla comunicazione a cura dell'ordine dei giornalisti. La bella relazione di Don Francesco Martino

Condividi su:

Ieri 24 Gennaio a Agnone nell'ambito delle iniziative organizzate in tutta la regione dall'ordine dei giornalisti per la ricorrenza della festa del patrono dei giornalisti, San Francesco di Sales, si è svolto presso la Cappella dell'Ospedale San Francesco Caracciolo, un seminario formativo sulla comunicazione dal titolo "San Francesco di Sales, san Francesco D'assisi e Papa Francesco: tre modi di comunicare".  Presenti al seminario il consigliere nazionale del'ordine dei giornalisti molisani Enzo Di Vincenzo, i relatori due sacerdoti giornalisti pubblicisti don Francesco Martino, e don Domenicoantonio Fazioli. Di seguito la bella relazione di Don Francesco Martino

 

RELAZIONE

La Comunicazione in San Francesco d’Assisi, in San Francesco di Sales e in Papa Francesco:

stili a confronto.

 

1.La comunicazione Religiosa.

Il confronto particolare che stiamo per analizzare questa sera si inquadra in quel particolare ambito della comunicazione che è quello della “comunicazione religiosa”.

Si tratta di un ambito che, pur avendo come principio generale le stesse regole tecniche della comunicazione, tuttavia si differenzia profondamente per l’oggetto e la natura della stessa, in analogia con quella che può essere definita come “comunicazione scientifica”.

In merito all’oggetto perché inerente la sfera interiore, metafisica, teologica, non immediatamente verificabile e trascendente, che include anche l’esperienza spirituale, mistica, emozionale, sensoriale e in merito alla natura, che riguarda tutto il mondo dello spirituale noumenico e non fenomenico, per dirlo alla kantiana materia, non coglibile attraverso lo sperimentale e l’esperienza. 

D’altro canto, la comunicazione religiosa è concreta, in quanto fondata su esperienze concrete di altri uomini vissuti in altri tempi, in condizioni irripetibili, che vengono comunicate ai posteri. Il linguaggio di tale comunicazione non parte da concetti e sistemi e non si basa unicamente su autori di testi e commenti scolastici, che altrimenti la ridurrebbe ad arida comunicazione teologico/metafisica, ma dalla quotidianità che investe tutta la sfera dell’individuo e tutti i suoi linguaggi concreti ed emozionali, per dirla secondo la visione biblica, “con fatti e parole, gesti e azioni, simboli ed evocazioni interiori intimamente connesse”.

Comunicazione religiosa non è l’informazione su argomenti religiosi, bensì essa è legata più alla sfera del mito che a quella del logos, intendendo il mito come il luogo di ogni discorso di interpretazione in figura dell’esistenza, il cui contenuto non mira a qualcosa che è oggettivamente e sperimentalmente verificabile e dimostrabile, ma esige dall’interlocutore una reazione e fede, perché determini la propria vita secondo la sua intenzione.

Esiste tuttavia, nella comunicazione religiosa cristiana, un duplice aspetto: la sfera del mito determina l’oggetto, la sfera del logos spiega l’oggetto determinato. La visione della filosofia come “ancilla theologiae”, per capirci, per cui la scienza razionale è chiamata a spiegare l’oggetto teologico dato come postulato.  E’ l’aspetto della comunicazione religiosa che si fa “dottrina”.

D’altro canto, la dottrina è chiamata a farsi “esperienza storica di vita”, ad incarnarsi in un contesto storico, in un vissuto concreto, in un’esperienza concreta che determina la vita, in gesti, in riti, in azioni, in atteggiamenti che poi manifestano l’esperienza di fede che origina la comunicazione religiosa integrale che supera l’aspetto contenutistico ed investe la globalità molteplice dell’esperienza umana in tutte le sue forme di comunicazioni.

Bisogna tener presente questa complessità nell’analizzare ed affrontare la comunicazione religiosa in tre personaggi concreti della storia della Chiesa: san Francesco D’Assisi, San Francesco di Sales e Papa Francesco, oggetto della nostra riflessione.

 

2.La comunicazione in San Francesco D’Assisi.

 

Francesco D’Assisi agisce in un contesto storico particolare: ci troviamo verso la fine del 1100, agli inizi del 1200: la comunicazione religiosa, data l’ignoranza della popolazione, è molto povera, se non inesistente, a livello di contenuti, ed è per lo più superficiale. E’ il tempo della crisi della Scolastica, del nominalismo, la comunicazione della Fede è ridotta per lo più alla comunicazione razionale, teologico-speculativa, e arida del contenuto della fede, che sembra segnare un divorzio tra indagine filosofica e teologia, ridotta a speculazione razionale.

Dal punto di vista esperienziale/concreto la fede è ridotta a conoscenza intellettuale, e non si cala in nessun contesto vissuto concreto. Fede è indagine scientifico razionale, chiusa nelle università, e non è esperienza e vita popolare.

Francesco D’Assisi, istruito e colto nelle arti del suo tempo,  percepisce invece che l’oggetto della Fede è basato essenzialmente sull’esperienza storica, profonda e anche mistica di Dio della sua vita, che impone una svolta radicale in essa, perché l’incontro con Dio è incontro con una realtà viva, vitale, non intellettuale, che fa percepire l’aspetto biblico del Dio Amore che si incarna nella nostra storia, diviene il Dio con Noi, il fratello, il compagno di viaggio,  colui che salva la propria vita dalla morte e dalla disperazione, e che chiede di essere annunciato a tutti come Buona Notizia, come Vangelo.

Francesco percepisce interiormente che questo è il contenuto della fede, della comunicazione religiosa, che deve comunicare: capisce che tale comunicazione deve essere rivolta e capita da tutti, deve essere semplice ed immediata, perché essa passi poi storicamente come esperienza nella vita concreta di ciascuno.

Di conseguenza, l’oggetto della sua comunicazione non può essere l’esposizione scolastica della dottrina, ma deve essere viva, vitale, semplice, capibile, conoscibile, intellegibile, storica, pratica e pienamente visibile, sperimentabile ed esperienziale. L’intuizione di Francesco lo porterà a rivoluzionare il suo stile comunicativo e segnerà una svolta nella comunicazione religiosa.

In primo luogo Francesco abbandona il linguaggio della scolastica e della teologia: abbandona la lingua latina e il metodo filosofico e usa il volgare, tanto da passare come fondatore della lingua italiana, perché questa è lingua del popolo e occorre farsi capire dal popolo. Abbandona la retorica e l’oratoria, ed elabora un linguaggio semplice, figurativo, immediato, che comunichi con semplicità una fede concreta e che chiede di diventare storia quotidiana. Mirabili esempi sono il Cantico delle creature, in cui, attraverso le cose visibili, animate ed inanimate, fa capire non solo l’immagine del Dio creatore, ma lo fa diventare esperienza di lode, di ringraziamento, di gioia, di vita per ciascuno, compresa sorella morte. Oppure nella sua “Lettera a tutti i fedeli”, in cui con semplicità presenta l’immagine del Dio con noi, nostro fratello di avventura,  che amando ci chiama ad amarlo, a vivere con l’orizzonte dell’amore nel cuore, semplicemente, nella lode, nel sacrificio, nell’offerta della vita, in un contesto di esperienza vissuta concreta, per cui tutto l’orizzonte di vita cambia, perché l’oggetto della sua comunicazione religiosa non è la teoria su Dio, ma la vita vissuta come esperienza concreta di Dio che mi ha amato e ha date se stesso per me.

Ma la comunicazione religiosa di Francesco non è solo intellettuale: è anche non verbale, a partire dallo stile di vita che assume, attraverso cui, attraverso il suo modo di vivere la vita quotidiana, i suoi atteggiamenti, le sue parole fa vedere la povertà di chi si affida unicamente al suo Signore e suo tutto, la perfetta letizia di chi sceglie il Vangelo sopra tutto,  la vera semplicità evangelica, l’amore totale di Dio per ogni uomo, fratello, sorella, creatura: è il suo corpo e quello dei suoi frati che si fanno comunicazione religiosa e annunzio prepotente del Regno di Dio e comunicano Dio, come anche la sua vita e quella dei suoi compagni.

La comunicazione religiosa di Francesco è anche comunicazione visiva: prendiamo ad esempio il presepe di Greccio, prima rappresentazione della natività, che comunica con l’immagine visiva il mistero del Natale, del Dio povero che si fa inerme bambino per noi e abbraccia la nostra povertà e la nostra natura umana. E’lui a volere che le chiese siano affrescate con immagini pittoriche che visivamente rappresentassero il Vangelo e i suoi episodi, la vita di Gesù e della Vergine, che servissero a far vedere concretamente il concetto religioso, e aiutassero il predicatore a comunicarlo al popolo anche più semplice e poco colto, perché potesse passare meglio nella vita. Le chiese così da allora, a cominciare da quelle francescane, vengono arricchite sempre più di affreschi, che rappresentano il modo di allora, pittorico e cinematografico a fotogramma, di comunicare la fede.

E’ comunicazione non verbale, quando, con il gesto eclatante di smettere di predicare agli uomini che non lo ascoltavano, si rivolge e predica agli uccelli, creando quello shock salutare nei suoi uditori che li scuote e genera il futuro ascolto.

E’ comunicazione coraggiosa che si manifesta quando affronta con il viaggio in Egitto la difficoltà e il rischio di comunicare con un mondo ostile e nemico, e con basi culturali allora come oggi inconciliabili come lo era il mondo arabo: eppure la sua comunicazione non verbale e fatta di gesti concreti consente di instaurare il dialogo impossibile che genera rispetto e attenzione reciproca, superando il pregiudizio, e trovando un terreno comune di confronto tra mondo cristiano e mussulmano, allora in guerra tra loro, che perlomeno condurrà ad un reciproco rispetto che ancora oggi storicamente sopravvive perché i figli di Francesco sono gli unici ad essere accettati e rispettati ancora oggi nel mondo mussulmano, dove hanno ancora la custodia dei luoghi santi, come anche testimoniato in Siria.

La comunicazione religiosa di Francesco è comunicazione rivolta al cuore per arrivare alla testa: parte dall’esperienza concreta per essere data a tutti: è comunicazione popolare della fede, che chiede al dato teologico di farsi storia, esperienza e vita, esempio e concretezza, e rifugge da qualunque visione teorica astratta, e manifesta pienamente il mistero dell’incarnazione: Dio si è fatto uomo per farsi capire dagli uomini, per farsi conoscere da loro, e perché loro potessero raggiungere ed essere con lui attraverso la concretezza di una presenza storica e quotidiana.

 

3.La comunicazione in San Francesco di Sales.

Profondamente diverso è il panorama culturale, storico e umano in cui avviene la comunicazione religiosa di San Francesco di Sales.

Vive in un periodo di turbolenza particolare, tra la fine del 1500 e primi anni 20 del 1600, in un periodo di profondi sconvolgimenti religiosi seguiti alla riforma protestante in Savoia.

E’il tempo in cui il Calvinismo prende piede a Ginevra, ed è un periodo di persecuzioni e vessazioni reciproche, in cui prevale la logica dello scontro, dell’imposizione, della tortura, della condanna a morte per imporre la propria fede religiosa e conquistare la supremazia, piuttosto che il dialogo e il confronto.

La comunicazione religiosa è abbastanza dura e spigolosa, e comporta l’accettazione senza discussione di precise idee dottrinali, come carattere distintivo anche politico di appartenenza. E’periodo di opposti integralismi, di contrapposizioni ideologiche tra opposte tifoserie, di osservanza esteriore, anche per distinguersi, di particolari ritualità, comportamenti, usanze e abitudini che etichettassero come senso di appartenenza ad una comunità.

E’ tempo di pregiudizio, di mancanza di ascolto, di visione della fede come legge e sistema di governo, piuttosto che di adesione a Dio. La visione calvinista, poi, punta molto sull’osservanza materiale, sulla predestinazione al male e al bene, sulla moralità che deve essere costume di vita, con rinuncia a tutto quello che si percepisce inappropriato e frivolo, come la musica, l’arte, il teatro, le immagini.

E’ visione e comunicazione della fede come vita di espiazione, di penitenza, di mancanza di sorriso ma solo di dolore.  La comunicazione religiosa cattolica, in quel periodo, è inefficace: si basa sulla polemica dottrinale con i protestanti sulle questioni teologiche della dottrina eucaristica, del primato del papa, dei sacramenti, del culto ai santi, del potere di legare e sciogliere, sul sacerdozio, sul rapporto autorità civile e autorità religiosa, nonché sulla concezione della fede. Spesso è sterile polemica muro contro muro, inefficace e ideologiche, che non coglie il senso della comunicazione di fede, la natura stessa di Dio e del Verbo incarnato per la vita di ciascuno.

Il Dio Calvinista è il Dio giudice, spietato, che punisce e salva i predestinati in base alla fede vera che solo lui conosce, ma il fedele non conosce, per cui tutta la vita è penitenza, sobrietà, espiazione e nulla vale la vita vissuta con le opere conseguenti. 

In questo contesto il giovane Francesco di Sales si trova ad agire: capisce subito che la predicazione tradizionale non è più ascoltata, e si rivela inefficace, per il pregiudizio degli uditori, che ormai non ascoltano più. Capisce quindi che la modalità del comunicare religioso non può essere più verbale ed orale, soggetta a precomprensioni, a distorsioni, interpretazioni fuorvianti e riduttive, se non a strumentalizzazioni. Comprende che la comunicazione, per essere rettamente intesa, deve essere la parola scritta: si inventa così, per far arrivare a tutti, in un epoca in cui la stampa già ha preso piede, la prima esperienza di giornale/periodico religioso in cui comunicare le idee religiose in modo da non essere interpretate in maniera distorsiva : fa affiggere nei luoghi pubblici dei manifesti composti in stile agevole e scorrevole, di grande efficacia e chiarezza, e i fogli volanti, che faceva scivolare esci stesso sotto gli usci della porta delle case, svolgendo una prima attività pubblicitaria nei confronti della Fede, tanto da diventare per questo motivo il patrono dei giornalisti.

Sua intuizione vincente è in questo periodo sul contenuto della comunicazione religiosa: capisce che la fede Calvinista è una fede triste, con una visione terribile e paurosa di Dio, in cui non c’è più spazio per la gioia, per la misericordia, per l’amore: è una fede che mette una pesante catena al collo per tutta la vita e non dà la certezza della salvezza, perché c’è la predestinazione: non è una fede che libera, ma che rende schiavi. Capisce che è inutile polemizzare sugli aspetti teologici e dottrinali, che è inutile far propaganda e accusa: quello sul quale bisogna agire, nella comunicazione con il mondo protestante, è il fondamento della fede stessa: l’immagine di Dio stesso, il contenuto fondamentale che motiva l’azione di ogni uomo.

Capisce che, essendo la Fede orientata ad una scelta di vita, bisogna comunicare l’esatta immagine di Dio perché questa diventi tale. Rimette al centro di tutto la causa di Cristo e come contenuto fondamentale il Dio Amore, l’amore di Dio, la misericordia di Dio, il perdono di Dio, il Cuore amorevole di Cristo che abbraccia l’uomo sofferente, gli dà fiducia, gli dà coraggio, lo solleva dalla sua miseria, perché è Amore fatto giustizia che vuole salvare tutti, e non predestina nessuno.  Il tutto rivolto alla condizione comune dei laici, per cui si preoccupa di sviluppare manifesti, fogli volanti che comunicassero un modello di vita cristiana alla portata anche delle persone comuni, immerse nella difficile vita quotidiana. Una comunicazione basata tutta sulla comprensione e sulla dolcezza, permeata dalla ferma convinzione che a supporto delle azioni umane vi fosse sempre la provvidenziale presenza del Dio Amore. Soprattutto, il tutto con uno stile di profondo rispetto, di dialogo, di ascolto e di comprensione, per cui accettava volentieri e con umiltà di scendere a discutere con tutti gli interlocutori calvinisti, e riusciva a spiazzarne parecchi, con il disarmate stile fiducioso, ottimista, umile e comprensivo, per cui ottenne tanti successi a Ginevra, tanto che, quando divenne Vescovo della Città, il potere calvinista, che la governava, per paura di perdere il consenso delle masse, gli vietò fisicamente l’ingresso in città e lo bandì dal suo territorio, reso indipendente dal Ducato di Savoia.

Francesco di Sales non si scompose: destando grandissima impressione, accetto con umiltà ed in modo esemplare, senza fare rimostranze, la decisione del governo della città e si ritirò ad Annecy, ma non smise un momento di bombardare Ginevra con la sua propaganda con i manifesti, i fogli volanti e le lettere, rimaste famose, con quello stile gentile e sereno, che comunque, nonostante gli sforzi repressivi dell’autorità calvinista, producevano i loro effetti dirompenti.  Anche la sua vita esemplare rafforzava la sua comunicazione religiosa, producendo un esempio concreto agli occhi dei cittadini di Ginevra di perfetta corrispondenza tra ciò che annunciava e ciò che viveva, e la sua comunicazione religiosa risultava molto efficace perché alle parole corrispondevano fratti concreti facilmente verificabili, e quindi incideva nel tessuto sociale del territorio in cui operava.

 

4.La Comunicazione in Papa Francesco.

Ben più complesso e articolato è il discorso della comunicazione religiosa in Papa Francesco. La nostra epoca è l’epoca dell’informazione, dello sviluppo dei mass media con le nuove forme di comunicazione digitale a mezzo degli smartphone, di facebook, di twitter, di whatsapp, di istagram e così via.

E’un epoca in cui l’immediatezza, la sinteticità, l’immagine istantanea, l’emozione che suscita la parola secca è più dirompente del contenuto della comunicazione, che viene spesso ridotto in pillole, e diviene più parziale, emozionale, istintivo e purtroppo superficiale. Diventa sempre più difficile fare informazione nell’epoca dell’auditel, delle percentuali di ascolto, della spettacolarizzazione della notizia, del parlare più alla pancia che non alla testa. E’ anche un’epoca in cui tutti comunicano tutto, in cui non c’è discernimento critico della notizia, e spesso vengono date per verità assolute anche le cosiddette “fake news”.

La Chiesa Cattolica vive tutta la difficoltà comunicativa ed espressiva del suo tempo, e molto spesso la sua comunicazione risulta arcaica, vuota, poco interessante e spesso inefficace, in un mondo che non ascolta, non si forma ma si limita al contenuto superficiale dell’informazione, ai titoli dei giornali più che al corpo degli articoli. Ancora la comunicazione ecclesiale si basa prevalentemente sulla parola della predicazione, della catechesi, ma si registra una crisi di contenuto, di idee da comunicare, e il tutto avviene spesso con una ridottissima capacità di ascolto dei fedeli, figli del loro tempo, per cui la comunicazione non passa. Limitati effetti producono le tecniche audiovisive, dato il bombardamento di immagini a cui siamo quotidianamente sottoposti, per cui spesso si è ricevitori passivi acritici di immagini che non lasciano traccia nella persona dopo essere passate, o peggio ancora, non suscitano alcuna emozione, se non istintive e poco riflessive reazioni mediatiche con like, disapprovazioni, emoticon e così via.  In questo contesto, la comunicazione religiosa, che si rivolge al profondo e all’interiorità dell’uomo, spesso non passa.

A livello di rapporto con i media, pur avendo la Chiesa sviluppato uno sforzo potente in questo campo con le sue Comunicazioni Sociali particolari, di fatto incide poco nel tessuto culturale odierno, dato anche il pregiudizio di noiosità, di vetustità, di anacronicità presente nell’immaginario collettivo, per cui si tende a cambiare canale su ogni cosa sia di tema religioso se non per una piccola percentuale di nicchia che segue tali trasmissioni.  Il rapporto tra Chiesa e Media laici è spesso problematico: data la natura odierna della comunicazione, spesso sono messi in luce aspetti parziali o estrapolazioni che possono generare audience, o semplificazioni telegrafiche fuorvianti o mal comprese, che generano spesso reazioni indignate, polemiche, contestazioni a livello politico, religioso, sociale. Ovviamente, dato il taglio odierno di ampio spazio alla cosiddetta cronaca nera, grande risalto viene dato alle malversazioni, agli scandali, ai delitti degli ecclesiastici che danno l’immagine di una Chiesa totalmente corrotta, lontana dalla sua missione e truffatrice del popolo e della sua buona fede, con generalizzazioni a volte esasperanti, che si colgono nella recezione della notizia soprattutto sui social da parte di molti cittadini.

Nella Chiesa Cattolica a Papa Benedetto, profondamente convinto della forza della parola e del concetto, in un’epoca di relativismo e superficialità imperante, è succeduto Papa Francesco, un pontefice venuto dalla periferia della Chiesa, dall’Argentina.

Papa Francesco viene eletto in un contesto difficile, già descritto, per la Chiesa stessa: e la sua prima scelta è quella di cambiare lo stile della comunicazione: recuperare la semplicità, l’immediatezza, il linguaggio popolare, servirsi dei media per comunicare una nuova immagine.

Ritornare, come contenuto della comunicazione religiosa, al fondamento della fede, alle basi; dare molta forza alle immagini, ai gesti eclatanti, agli annunci, agli atti significativi e novatori. La sua azione è tesa a far sentire la Chiesa come ospedale da campo, ad essere vicina ad ogni uomo, ad ogni fragilità, a prendere le difese dei poveri, degli ultimi, di chi non ha voce.

Cerca lui stesso di scegliere uno stile semplice, povero, sobrio, che sia di esempio, andando ad abitare in due camere d’albergo a Santa Marta, abbassando il livello delle sue necessità, dei suoi mezzi.

Però nella nostra epoca si ha a che fare con questi mass media: così il rischio reale, dal papa non voluto, e che i media trasformino Francesco in una Rockstar, e molte frasi ad effetto sono prese in forma parziale, comprese quelle sui divorziati, che generano terremoti mediatici anche nella Chiesa, perché i suoi figli sono anch’essi vittima della comunicazione superficiale del tempo. Oppure come le dichiarazioni che i media prendono a senso unico sugli immigrati, spesso tacendo i contesti, che fanno apparire il Papa e la Chiesa attori politici di una precisa parte politica, e riducono tutto ad uno scontro politico che non ha modo di essere oggi nella Chiesa.

Sono spesso rilanciati sui media immagini eclatanti, spettacolarizzando alcuni aspetti che vengono letti come di rottura con la Chiesa, come il matrimonio dei due assistenti di volo, il Papa che scende dalla papamobile per soccorrere la poliziotta, oppure ci si ferma a gesti e parole estemporanee del Papa, ignorando il senso della sua comunicazione profonda, anzi tacendola.

Il rischio di superficializzazione oggi imperante rischia di creare una falsa immagine del Papa in un’epoca in cui i comportamenti sono dettati non dalla verità, bensì assunti secondo il sentire “di pancia” della gente per ricercare l’approvazione, il gradimento, l’applauso facile, e potrebbe far apparire il Papa come un grande attore alla ricerca del facile consenso.

Di contro, viene taciuto sostanzialmente il contenuto della comunicazione papale integrale, oppure ci si accontenta della dichiarazione ad effetto estrapolata di Francesco, come il chiedere scusa per la pedofilia nella Chiesa in un contesto in cui tutti protestano contro gli ecclesiastici corrotti, ignorando tutta l’azione della Chiesa posta in essere fin da Benedetto XVI per estirpare questa “mala pianta”.

.

Per cui il paradosso risultante dal circo mediatico odierno è che nell’opinione pubblica il Papa gode di buon apprezzamento, e il resto della Chiesa è tutta corrotta: ma non esiste il Papa senza la Chiesa. Gli esempi precedenti di comunicazione ci hanno ricordato che la comunicazione religiosa è vera quando ai fatti si accompagnano le parole e le parole ai fatti: nell’intenzione di Papa Francesco questo sicuramente c’è, ma il rischio di strumentalizzazioni è dietro l’angolo:  ad esempio, Papa Francesco, in un discorso fraterno, ricordava ai Cardinali la necessità della conversione, che ognuno è responsabile con il suo comportamento del bene della Chiesa, e che il male nella Chiesa c’era ma lui non poteva far nulla se gli altri non collaboravano: era un discorso fraterno, che avrebbe fatto meglio a fare a porte chiuse, a quattrocchi, e che ogni uomo di Chiesa capisce e comprende qual senso abbia. I massmedia, che hanno seguito l’evento, hanno dato, di questo intervento fraterno, la seguente lettura, che è passata a livello mediatico: il papa ha detto che la Chiesa è corrotta, che lui non ci può far niente, che ha le mani legate. Ma lui non è il capo? Non può imporre nulla? Allora la Chiesa si oppone al Papa e gli impedisce di riportarla alla Verità, a morte la Chiesa!  Addirittura, altri hanno criticato questo modo di fare del Pontefice, che fa annunci per scusare la sua incapacità di riformare la Chiesa, come se fosse un qualunque politico che per giustificare la sua inettitudine scarichi la responsabilità sugli altri. Nulla di più fuorviante, quando l’intenzione del Santo Padre era quella di un richiamo di tutti alle proprie responsabilità e a rimboccarsi le maniche, affrontando e risolvendo i problemi anche con coraggio, a partire dal fare i conti con sestessi.

Ovviamente io capisco il Papa: è talmente innamorato della Chiesa che vorrebbe che risplenda santa e immacolata difronte al mondo, ma questa ansia può pregiudicare la comunicazione. 

Allora, quale potrebbe essere la via d’uscita? Innanzitutto, recuperare uno stile sobrio, chiaro, semplice, concreto e far seguire immediatamente alle parole i fatti. Essere molto semplici, ma quando si affronta un problema, non fermarsi all’annuncio, bensì agire e rendere pubblica l’azione. Ad esempio, non posso piangere per la pedofilia in tv, devo rendere noto tutto quello che ho fatto e sto facendo per estirparla, che purtroppo spesso si fa ma nel silenzio, perché la Chiesa non ricerca l’applauso esteriore del mondo, ma la verità. Comunicare con verità dando l’esempio, perché la fede non va mai dissociata dalla vita. Anche se è doloroso, intervenire prontamente per estirpare il male, recuperando una buona dose di umiltà, accettare di soffrire l’ingiusta calunnia nel silenzio piuttosto che provare inutilmente a resistere quando l’opinione pubblica già ti ha condannato senza processo, recuperare l’amore al prossimo e a Dio come Francesco di Sales e San Francesco d’Assisi, assumere posizioni vere e coerenti, non aver paura di non essere sempre “politically correctness”, segno di ipocrisia,  incontrare le persone dove si trovano ed essere persone vere e reali. Non l’apparenza, ma la sostanza sono segno di una comunicazione religiosa efficace e feconda, data la natura della stessa, che esige verità, coerenza e responsabilità in chi comunica.

 

                                                                                                                             Don Francesco Martino

Condividi su:

Seguici su Facebook