Nell’ultimo rapporto della Direzione Investigativa Antimafia si conferma il riferimento al Molise come regione oggetto di attenzione delle cosche della ‘Ndrangheta lungo la costa tra Vasto e Termoli, e la presenza inquietante della mafia foggiana e garganica, che sempre più spesso si rende protagonista di rapine, catene di furti, traffici illeciti ed esempi delittuosi in particolare nella Provincia di Campobasso al confine con la Puglia, e non per niente la Giornata Nazionale della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie in programma il 21 marzo 2018 di terrà proprio a Foggia.
La camorra è presente sia in Provincia di Isernia che in quella di Campobasso, sia con attività di riciclaggio, gestione di appalti e/o subappalti, sequestri giudiziari sia come luoghi scelti in cui riparare per arresti domiciliari, o nei quali nascondersi per ricercati e latitanti.
Un Molise attenzionato dalle mafie dei colletti bianchi che non disdegnano di occuparsi di forniture di beni e servizi alla Pubblica Amministrazione, né di seguire possibili affari nella gestione di attività o beni pubblici affidate a privati, lucrando profitti ingenti a danno della collettività senza ricorrere alla violenza.
Sono questi intrecci a creare forti allarmi tra i cittadini defraudati dei propri diritti e lasciati in preda ai gruppi di potere criminale capaci di presentarsi con tratti eleganti ed immagini specchiate all’opinione pubblica. A fronte del dilagare di questo pericolo reale ma scarsamente visibile alla generalità delle persone, c’è chi urla all’untore ed istiga alla violenza fomentando odio e paure ancestrali additando la delinquenza comune locale, gli immigrati o episodi minori come allarmi sociali prioritari che minano la tranquillità delle persone.
È assurdo ascoltare messaggi violenti orientati verso donne, bambini, giovani e famiglie di migranti, nel mentre gli stessi soggetti non vedono, non sentono e non parlano dell’occupazione silenziosa, strisciante e progressiva del territorio da parte della criminalità organizzata, autorizzando a porsi il dubbio se in qualche caso la grancassa che si fa sulla presunta pericolosità degli stranieri o sulla microcriminalità non sia un diversivo per far puntare i riflettori su falsi problemi ed avere mano libera sugli affari veri fatti sulla testa delle ignare popolazioni locali.
In Molise stentano a diffondersi, crescere e potenziarsi una cultura dell’educazione alla legalità, prevenzione e conoscenza delle mafie, attività di impegno e partecipazione ad iniziative di contrasto culturale alla criminalità organizzata, ma ciò non deve farci demordere nell’azione di promozione della Rete di Libera Contro le Mafie per non cadere nella trappola tesa dagli untori del terzo millennio.
Giornata della memoria e dell'impegno Libera si prepara a celebrare in Puglia la Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Dieci anni fa a Bari,il prossimo 21 marzo a Foggia. Una regione, una terra colpita da gravissimi fatti di sangue. Tornare in Puglia e aver scelto in particolare quel territorio, non è una decisione casuale. Terra, solchi di verità e giustizia è il tema della XXIII edizione. Replicando la “formula” adottata negli ultimi due anni, Foggia sarà il 21 marzo la “piazza” principale, ma simultaneamente, in migliaia di luoghi d’Italia, dell’Europa e dell’America Latina, la Giornata della Memoria e dell’Impegno verrà vissuta attraverso la lettura dei nomi delle vittime e, di seguito, con momenti di riflessione e approfondimento. Libera va a Foggiaperché quella terra ha bisogno di essere raccontata. Libera va a Foggia perché le mafie del foggiano sono organizzazioni criminali molto pericolose che facciamo una tragica fatica a leggere. Perché, malgrado l’evidenza, la percezione della cittadinanza è ancora bassa. Una mafia, quella foggiana, così invasiva da spaventare. Le mafie foggiane sparano mentre le altre mafie non sparano più. Le mafie foggiane, tutte le mafie foggiane, mantengono la loro evidenza violenta laddove le altre mafie impongono il silenzio. Foggia è una città sotto attacco. La Capitanata è una provincia sotto attacco. Dall’inizio del 2017 sono 17 le persone morte ammazzate, cui si aggiungono due casi di “lupara bianca”, su una popolazione di 620 mila abitanti. Un dato tanto impressionante quanto ignoto.La criminalità organizzata del foggiano vive dell’ignoranza che la circonda.Per esempio, quella di quanti continuano ad associarla alla Sacra corona unita, come fosse una cosa sola con quest’ultima. Cosa che non è, e anzi, le stesse mafie della provincia di Foggia hanno, tra loro, peculiarità che le differenziano. E così, la manifestazione del prossimo 21 marzo 2018 serve innanzitutto a questo: a generare consapevolezza e a colmare un ritardo storico, figlio della sottovalutazione. Serve non a colpevolizzare un contesto, magari tacciandolo tout court per mafioso, ma a spiegare quel che ci raccontano le indagini, le inchieste, le morti per strada e nelle campagne, i fatti. Serve a dire che la mafia foggiana è sì violenta e triviale, ma ha profondamente le mani nell’affare. E che i soldi di quell’affare, di quegli affari, vengono tolti a tutti. E che, quindi, le mafie sono il freno allo sviluppo, tanto economico quanto civile. La manifestazione del prossimo 21 marzo è un modo per rompere in modo definitivo con questa logica muta, per riscattarsi dal fallimento culturale che non assolve nessuno, ma che coinvolge tutti. C’è da ricucire un nuovo tessuto sociale che abbia una fibra resistente. La Giornata dell’impegno e della memoria potrebbe essere utile a convogliare le forze di quanti siano disponibili a questo lavoro di sartoria comunitaria. Vige la convinzione di non poter cambiare le cose. C’è una speranza andata in cancrena e diventata tumorale. Non è tanto sfiducia nelle istituzioni, quanto piuttosto il patimento di chi sa di vivere in un luogo dove nemmeno il sacrificio della vita può cambiare lo stato delle cose. Questo malgrado i miglioramenti. Malgrado si cominci a schiarire il cielo della conoscenza. Evidentemente non basta. Non può bastare. Ora che le mafie sono note, serve lo scatto successivo: quello dell’analisi. Lo studio e la ricerca possono aiutare a fare lo scatto ultimo in termini di conoscenza, restituendoci nel futuro prossimo una nuova leva di cittadini che può essere classe dirigente. Tutto questo, problematiche e possibilità, è quello che ci troveremo tra le mani il prossimo 21 marzo. Qui andremo ad agire. Più alta sarà la nostra proposta, più sarà scevra da intenzioni di pregiudizio, più potremo sviluppare un percorso importante e duraturo. Il tutto, chiaramente, senza dimenticare il ricordo delle vittime innocenti. Le vittime del foggiano raccontano tanti mondi. Ci sono le vittime del caporalato, Incoronata Sollazzo e Incoronata Ramella, morte nell’incidente del pulmino che le portava nelle campagne, che era sovraccarico di braccianti, oHyso Telharaj. Ci sono funzionari pubblici come Francesco Marcone. Ci sono bambini e ragazzi. Ci sono rappresentanti delle forze dell’ordine. Ci sono persone semplici, come Matteo Di Candia, pensionato ucciso in un giorno qualunque mentre festeggiava, in un bar, il suo onomastico, vittima di un proiettile vagante.Tornare in Puglia significa abbracciare queste vicende, queste storie, queste mancanze. Tornare in Puglia significa andare e disvelare il nascosto. E per stare vicino a chi – in Puglia, come in altre Regioni – non si rassegna alla violenza mafiosa, alla corruzione e agli abusi di potere. Per valorizzare l’opera di tante realtà, laiche e cattoliche, istituzionali e associative, impegnate in quella terra difficile ma generosa per il bene comune, per la dignità e la libertà delle persone. 21 marzo, nasce dal dolore di una mamma Una giornata estiva. Il sole splende sulla autostrada tra Punta Raisi e Palermo. Magistrati, rappresentanti delle istituzioni e delle forze di polizia, cittadini e studenti commemorano il primo anniversario della strage di Capaci. C’è anche don Luigi Ciotti sul luogo del dolore. Prega, in silenzio. Quando, all’improvviso, si avvicina una donna minuta: si chiama Carmela, è vestita di nero e piange. La donna prende le mani di don Luigi e gli dice: «Sono la mamma di Antonino Montinaro, il caposcorta di Giovanni Falcone. Perché il nome di mio figlio non lo dicono mai? È morto come gli altri».Soffre, Carmela: in quel primo anniversario della strage la memoria di suo figlio Antonio, e dei suoi colleghi Rocco e Vito, veniva liquidata sotto l’espressione “i ragazzi della scorta”. Da questo grido di identità negata nasce, il 21 marzo, primo giorno di primavera, la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie . Nasce dal dolore di una mamma che ha perso il figlio nella strage di Capaci e non sente pronunciare da nessuno il suo nome. Nessuno.Un dolore che diventa insopportabile se alla vittima viene negato anche il diritto di essere ricordata con il proprio nome. Un lungo elenco che diventa memoria Ogni anno una città diversa, ogni anno un lungo elenco di nomi scandisce la memoria che si fa impegno quotidiano. Recitare i nomi e i cognomi come un interminabile rosario civile, per farli vivere ancora, per non farli morire mai. Per farli esistere nella loro dignità. Il 21 marzo: perché in quel giorno di risveglio della natura si rinnovi la primavera della verità e della giustizia sociale, perché solo facendo memoria si getta il seme di una nuova speranza. Il 21 marzo 1996 a Roma, piazza del Campidoglio, la prima edizione. E poi Niscemi (Cl), Reggio Calabria, Corleone (Pa), Casarano (Le), Torre Annunziata (Na), Nuoro, Modena, Gela (Cl), Roma, Torino, Polistena (Rc), Bari, Napoli, Milano, Potenza, Genova, Firenze, Latina, Bologna e Messina come piazza principale in contemporanea in 2000 luoghi. E infine Locri, in simultanea con 4000 luoghi in Italia e nel resto del mondo. Ogni piazza, il valore e la testimonianza dell’esserci. Ogni città, un ricordo e una denuncia. Anni di memoria e impegno. Anni di verità e giustizia. Per le stragi e le vittime delle guerre di mafie. Oltre il settanta per cento delle famiglie delle vittime non conosce la verità sulla morte dei propri cari. E quel giorno – e per tutti gli altri 364 giorni dell’anno – insieme ai familiari tutti diventiamo cercatori di verità.