Prete e gay: binomio impossibile per il Vaticano, che nel 2005, per volere di papa Ratzinger da poco salito al soglio pontificio, sancì esplicitamente, salvo equivoci, quello che fino ad allora suggerivano Sacre Scritture, magistero e tradizione, e cioè che un omosessuale non può entrare in seminario o in un ordine religioso. È di quell'anno una apposita «Istruzione» elaborata dalla Congregazione per l'Educazione cattolica, rivista, corretta e resa ancor più rigorosa tre anni dopo, nel 2008, fino ad equiparare, nella sostanza, chi ha rapporti omosessuali con chi manifesti anche solo delle «tendenze». Inclinazioni che la Congregazione ha esortato a verificare fin dalla richiesta di iscrizione al seminario con l'aiuto di psicologi e psichiatri. Verifiche sulle quali, peraltro, è dall'anno scorso intervenuto un ulteriore giro di vite, in chiave anti-pedofilia. Il catechismo della Chiesa cattolica distingue tra «atti omosessuali», che nelle Sacre Scritture sono considerati «peccati gravi», e che la tradizione ritiene «intrinsecamente immorali e contrari alla legge naturale», e le sole «tendenze omosessuali», definite «oggettivamente disordinate». Essere gay, comunque, spiegò presentando il documento del 2008 il cardinale Zenon Grocholewski, capo dicastero dell'Educazione cattolica, «è una deviazione, un'irregolarità , una ferita per chi deve esercitare il sacerdozio, che consiste anche nell'essere un padre spirituale e nel sapersi relazionare agli altri». «Nessuna discriminazione», tuttavia, precisava già il documento del 2005. I gay vanno accolti dalla Chiesa «con rispetto e delicatezza, evitando ogni ingiusto marchio». Ma non nei seminari: se lo psicologo dovesse verificare che le tendenze «non possono essere curate», anche chi vi è già entrato «deve essere dimesso». (ANSA).