Da una parte, La lega, caricandosi dei problemi di ordine e sicurezza, seppur a colpi di slogan, ha chiuso i porti, ha attaccato la Fornero facendo passare il messaggio falso di averla annullata, ha messo la pistola nelle mani di chi vuole farsi giustizia da solo; dall’altra parte, il M5S, caricandosi dei problemi economici e di sviluppo, ha ceduto su Tap, su Ilva, sulle banche e sul Salva-Carige o sta temporeggiando sui dossier Venezuela, TAV, Autonomie ed F35. Non sono bastate, alla lunga, le battaglie di bandiera del taglio dei vitalizi e dell’ autoriduzione degli stipendi. Men che meno è bastato il ritorno di Alessandro Di Battista nel ruolo di front-man.
La sconfitta per il M5S non poteva che essere quella che è stata: dimezza i consensi rispetto alle elezioni politiche del 4 marzo, quando aveva sfiorato il 40%, e perde terreno, con il 20%, persino rispetto alle regionali del 2014 quando prese il 21,4%. Tutto ciò nonostante la prospettiva concreta del reddito di cittadinanza. Gli elettori che, a livello nazionale, avevano scommesso sul M5S sono scappati, liquidi come erano arrivati. Non regge la giustificazione che il M5S abbia corso da solo né che fossero dei neofiti. Marcozzi, la loro candidata, non era una sconosciuta, ma un'attivista storica nota in Regione, già candidata governatrice nel 2014 e consigliera regionale da allora.
E la sconfitta sarà sempre più pesante
- se i maggiorenti del Movimento non si decidono a uscire dai loro dubbi e dalle loro giravolte;
- se non prendono atto che i loro avversari sono a destra;
- se non la smettono di fare da paladini di Salvini e delle sue politiche.