In Italia è stato superato appena il 40esimo anniversario della legge sull’aborto. La famosa 194 che nello Stato Italiano viene applicata male a causa delle obiezioni di coscienza di medici e infermieri. Ma è proprio l’Italia la meta delle donne di San Marino, quando devono interrompere una gravidanza. Avviene, come sostiene una inchiesta dell’Espresso, tra il silenzio di chi sa e che non interviene.
Abortire a San Marino, lo Stato indipendente che si trova a ridosso delle Marche e dell’Emilia Romagna, a due passi da Rimini e Pesaro è praticamente impossibile e punibile con il carcere.
Che cosa è accaduto il 6 marzo scorso, a ridosso della giornata internazionale della donna. Una raccolta firme in dodici parrocchie hanno sottoscritto un documento in cui l’aborto può avvenire solo in caso di grave e conclamato pericolo per la donna.
C’è uno spiraglio all’autodeterminazione di quest’ultima? Certo ma in maniera negativa. La voce della diretta interessata può essere ascoltata solo se decide di mettere fine alla propria vita in favore di quella del figlio. Una proposta di legge popolare scritta in italiano che va ben più oltre di quanto preveda qualsiasi decreto Pillon o qualsiasi proposta di abolizione della 194 voluta dal ministro Fontana e appoggiata da Adinolfi. Sarebbe ben accolta nel convegno di Verona in cui si discuterà di abolizione di qualsiasi diritto civile.
Su questa proposta il Consiglio Grande e Generale (il parlamento di San Marino) dovrà pronunciarsi entro sei mesi. Ora chi decide di mettere fine alla vita del proprio feto viene punita col carcere da tre a sei anni. La legge è severa, peggio di quelle dei peggiori stati oscurantisti, e non tiene conto della minore età della donna, della possibilità che la stessa sia stata vittima di stupro oppure se disabile.
Vanessa Muratori, ex parlamentare di sinistra unita, sta invece presentando una controproposta di legge per regolamentare l’interruzione di gravidanza e togliere il piccolo staterello dalla condizione medievale. Ma le occorrono almeno 60 firme. Le donne sammarinesi spendono circa 2mila euro per esercitare il loro diritto e abortire in Italia. Secondo una stima sono circa 20 all’anno.
Oggi a San Marino è prevista solo un’attenuante per la donna che abortisce: se non è sposata scatta la giustificazione motivata dall’onore. Né la grave malformazione del feto, né la violenza sessuale o l’incesto possono invece salvarla dalla prigione. Un impianto normativo rigidamente patriarcale di fatto riconfermato dal nuovo Pdl.