Troppo mascolina. Poco avvenente. E quindi è poco credibile che sia stata stuprata, più probabile che si sia inventata tutto. È un ragionamento che già indignerebbe se ascoltato in un bar, ma che letto in una sentenza fa un effetto ancora peggiore. Per di più se a firmarla sono tre giudici donne. Che scelgono, così, di assolvere in appello due giovani condannati in primo grado a cinque e tre anni per violenza sessuale. E nelle motivazioni scrivono che all'imputato principale "la ragazza neppure piaceva, tanto da averne registrato il numero di cellulare sul proprio telefonino con il nominativo "Vikingo" con allusione a una personalità tutt'altro che femminile quanto piuttosto mascolina". Poi la chiosa: "Come la fotografia presente nel fascicolo processuale appare confermare".
Il verdetto è stato annullato con rinvio dalla Cassazione come richiesto dal procuratore generale che ne ha evidenziate alcune incongruenze e vizi di legittimità . Per cui il processo di appello dovrà ora essere rifatto. Ma intanto la sentenza bocciata ha fatto saltare sulla sedia più di magistrato della Suprema Corte. Perché leggendone il testo sembra che a influire sulla decisione delle tre magistrate sia stato proprio l'aspetto fisico della donna.