La Corte di Cassazione (Terza civile, sentenza 16917/2010 depositata ieri) ha confermato la condanna di Bruno Vespa per diffamazione dei due pm napoletani che, negli anni'90, avevano ordinato l'arresto del manager agnonese Vito Gamberale, poi assolto. Vespa, citato a giudizio per un passaggio del libro "La sfida" in cui l'intervistato Gamberale definiva "illegittimo" il suo arresto, si era difeso sostenendo di aver solamente riportato la "sostanziale verità dei fatti", peraltro confutata da due sentenze di merito e anche da un'indagine ispettiva del ministero.
E' quanto riporta Il Sole 24Ore
I giudici di piazza Cavour hanno però nuovamente avallato la condanna di Bruno Vespa (24 mila euro per ciascuna delle parti offese) sottolineando che al giornalista non basta riportare fedelmente le parole dell'intervistato, avendo anche il dovere di controllare la veridicità delle circostanze riferite e la continenza delle espressioni riferite, mantenendo comunque sempre una "posizione imparziale". Invece l'intervista incriminata "era punteggiata da domande di cui appariva ovvia la risposta, nonché accompagnata da notizie allusive, da sottintesi, da ambiguità tali da ingenerare nel lettore la convinzione della rispondenza al vero dei fatti esposti", e ignorava invece le circostanze di possibili ricostruzioni alternative "già conoscibili al momento della stesura del libro".
I giornalisti siano imparziali di fronte all'intervistato - Le motivazioni
Carabinieri senza mandato" è il paragrafo del libro "La sfida" che a Bruno Vespa continua a costare caro. E questa volta definitivamente. È, infatti, di oggi la sentenza n. 16917 della Cassazione civile che conferma il danno da diffamazione a carico del giornalista e dell'editore Mondadori per le affermazioni contro i magistrati campani Cantelmo e Quatrano sulla vicenda dell'ingegner Gamberale.
Il libro lasciava intendere come vera la circostanza secondo cui i due pubblici ministeri avessero disposto l'arresto dell'allora amministratore delegato della Sip prima che il Gip avesse emesso il provvedimento di custodia. Contro questa "verità " che emergeva dal libro i due magistrati hanno già ottenuto la condanna di Bruno Vespa e della Mondadori in due gradi di giudizio con il raddoppio del risarcimento da parte della Corte d'appello di Milano.
È vero, dicono i giudici, che l'affermazione su questo fatto viene resa dall'intervistato e solo riportata dall'autore nel libro, ma è dovere del giornalista non consentire che un'affermazione di parte prenda forza anche grazie agli elementi e alle circostanze che lui stesso tace. E questo a maggior ragione quando si parla di un libro che per sua natura tende a "storicizzare" più di un articolo di giornale una verità o una falsità . Inoltre Vespa a sostegno dell'illegalità dell'arresto di Gamberale sottolinea che il Csm si occupò dell'operato dei due Pm, ma che non poté entrare nel merito perché si trattava di attività puramente giurisdizionale. Un'affermazione questa già definita "falsa" dai giudici di merito.
Il libro di Vespa sarà pur vero che voleva parlare di drammi personali, come lui stesso aveva affermato, ma - dicono i giudici - nel momento in cui riporta la cronaca di attività delle istituzioni non può omettere circostanze o non cercare di conoscere fatti che la sua professionalità gli impongono di trattare per dovere professionale. Infatti secondo i giudici, in tale caso Vespa non raccontava nel suo libro che in realtà a occuparsi dell'attività di Quatrano e Cantelmo fu il ministero di Grazia e Giustizia che dispose l'archiviazione per l'infondatezza degli addebiti mossi ai magistrati ingenerando così nel lettore la falsa convinzione che il Csm avesse archiviato il procedimento "soltanto" perché non poteva esaminare il merito della vicenda.
A oggi la vicenda si chiude con la responsabilità solidale di Bruno Vespa e dell'Arnoldo Mondadori Editore Spa per 20mila euro di danni morali e di 4mila a titolo di riparazione pecuniaria a favore di ognuno dei due magistrati, oltre 3mila euro di spese di giudizio più interessi.