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E' morto Pelé, il re del "futebol bailado": tre Mondiali, oltre mille gol, l'arte dell'impossibile

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«Sono pronto a giocare novanta minuti e pure i supplementari». Era il settembre del 2021, aveva appena lasciato la terapia intensiva dell’ospedale Albert Einstein di San Paolo dopo l’intervento per la rimozione di un tumore al colon. La situazione risultava però già grave. Lo sapevano tutti, lo sapeva lui. Ma anche quella volta Pelé aveva fatto Pelé, caricandosi la squadra sulle spalle, col suo inimitabile sorriso, autentico e infinito, cercando di rassicurare il mondo intero, in ansia per le sue condizioni di salute.

Aveva concluso il messaggio agli 8 milioni di tifosi su Instagram scrivendo tre semplici parole: «Amore, amore e amore!». Questo era Edson Arantes do Nascimento. E questo sarà sempre.

O Rei non ce l’ha fatta. L’aveva promesso: la partita sarebbe stata lunga e non si sarebbe arreso neanche al 90’. Così è stato. La sua sfida si è conclusa quindici mesi dopo quel primo intervento. Ha combattuto fino all’ultimo, come ha sempre fatto in vita sua, sul campo di calcio e fuori. Troppo forte però stavolta l’avversario. Eppure non ha smesso un minuto di lottare, di crederci, di giocare la sua partita, assicura chi gli sta vicino.

 

Negli scorsi mesi era stato sottoposto all’ennesimo ciclo di chemioterapia e fin da subito le indiscrezioni filtrate dall’ospedale avevano lasciato poche speranze. Secondo diversi media brasiliani, la situazione negli ultimi tempi era peggiorata, col cancro che si era esteso ad altri organi. Si sono poi aggiunte complicazioni renali e cardiache. S’è capito che non c’era più nulla da fare quando nei giorni scorsi i figli lo hanno raggiunto all’ospedale per l’ultimo saluto, quando hanno capito che il padre non sarebbe più tornato a casa.

Pelé non si è mai arreso. Debilitato ormai da anni, anche per via di un serio problema all’anca che ne condizionava i movimenti e che lo costringeva a usare il bastone per muoversi. Ha affrontato il suo calvario con la stessa forza e la stessa tenacia che aveva sul campo e che gli hanno permesso di vincere tre Mondiali, 1958, 1962 e 1970, unico calciatore della storia a riuscirci. Di segnare oltre 1281 gol in 1363 partite fra Santos, New York Cosmos e Brasile. Di diventare calciatore del Secolo per la Fifa, per il Comitato Olimpico Internazionale e per l’International Federation of Football History & Statistics, nonché Pallone d’oro del secolo, unico giocatore al mondo.

Ma soprattutto di diventare il Re, un Re buono, partito dall’inferno giocando con un pallone di stracci e arrivato in cielo

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