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Borsellino, 33 anni dopo: il coraggio che ci manca

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Sono passati trentatré anni da quella domenica d’estate in cui Paolo Borsellino fu ucciso in via D’Amelio, insieme agli agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Era il 19 luglio 1992. Cinquantasette giorni dopo la strage di Capaci. Una seconda ferita mortale per lo Stato. Da allora, ogni anno torniamo a ricordare. Ma il tempo ci impone qualcosa di più: memoria viva, non solo rituale. Verità piena, non solo retorica.

«La lotta alla mafia dev’essere un movimento culturale e morale», diceva Borsellino.
Oggi, nel 2025, la domanda è inevitabile: stiamo davvero onorando il suo sacrificio?
La mafia è cambiata, si è fatta silenziosa, invisibile. Ma resiste anche dove ci si accontenta delle apparenze, dove si tace, dove si rinuncia a capire.

Borsellino sapeva che sarebbe morto. Non cercava gloria: cercava giustizia. Tocca a noi, adesso, dimostrare di meritarla. Con la coscienza, con le scelte, con il coraggio che troppo spesso ci manca.

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