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“Pro innocentiae causa”. Il caso Berlusconi

L'editoriale

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L'avv. Coppi dice: “vai ai servizi sociali”; “Vai a cogliere i pomodori e a pulire i cessi nella mia Comunità”, replica il vecchio don Mazzi, malcelando un remoto rancore. Che orribile fine! Intanto, con la perdita della immunità, il Cav., corre il rischio di essere arrestato, per altri reati in corso. Soprattutto per il processo penale in corso, a Napoli (affare De Gregorio). Mi è venuto in sogno, stanotte, “in manette”. Una sorta, ancora più clamorosa, di riedizione del caso Tortora?! Confesso che non credo illimitatamente nella infallibilità della giustizia umana: il prodotto pur sempre della mente umana, che, di per sé, è fallibile. Non si tratta di matematica né di alcuna altra forma di scienza esatta. Essa può dipendere (ovviamente non sempre) dagli orientamenti ideologici, filosofici talora anche emotivi, e, naturalmente, politici, di chi giudica, anche se in perfetta buona fede, spesso condizionati dalla pressione mediatica, in un particolare momento storico. Tanto è vero che il legislatore processuale ha previsto un particolare processo (revisione)  di “rivisitazione” delle sentenze, pur se passate in giudicato. Non si tratta di giustizia divina che, per chi ci crede, è infallibile. Tutto è possibile ed errabile. Le diverse soluzioni possono dipendere, spesso, da scelte processuali diverse. Basti pensare che, con una diversa scelta strategica processuale iniziale, come nel caso di scelta del “rito abbreviato”, si sarebbe avuta, una riduzione di 1/3 della pena, verosimilmente infliggenda, anche nel rito alternativo, e, quindi, con riduzione a tre anni della pena complessiva. Cosicchè, ridotta, nel caso di frode fiscale, la pena a tre anni, il condono (del 2006) avrebbe travolto ed estinto la pena,  con possibile estensione del condono anche alle pene accessorie (accessorium sequitur principale); si sarebbe, così, dissolta la fattispecie penale. La sentenza offre, inoltre, il fianco a non pochi dubbi. Il principio, ad es., del “non poteva non sapere”, secondo i molteplici richiami ad esso delle tre sentenze di condanna, è la resa intellettuale estrema, contro la immanenza e la persistenza del dubbio, nella ricerca (sempre difficilissima)  di una verità. Un teorema, quello in esame, la cui utilizzazione in alcuni giudizi storici, come quello di Andreotti, fu agevolmente rovesciato nei gradi superiori del giudizio. Nessun teorema può essere, dunque, preso in assoluto. Inoltre, la frenetica attività politica dell’uomo, poteva, invero, non consentirgli di seguire tutto dell’interno dinamismo delle sue molte aziende,  per quanto spaziosa fosse, e sia, la sua mente. Il principio della divisione e della scissione delle responsabilità, nelle dinamiche societarie, consente, infatti, e, spesso, impone, che le figure apicali di una società siano differenziate; l'una rappresentando e presiedendo un determinato meccanismo societario, l’altra assumendo la responsabilità diretta del corpo societario. L'unico ad assumersi le responsabilità vere ed effettive, della gestione, è, appunto, l'amministratore delegato, il cui termine (delegato) è appunto semanticamente esplicativo delle funzioni della delega o del mandato. Ora, è accaduto che l’amministratore delegato: firmatario e responsabile dei bilanci, è stato assolto, come sembra, e il Presidente, sulla base del principio citato (“non poteva non sapere”), è stato condannato. Una diversa concezione storico-filosofica e, persino di letteratura giudiziaria, poteva indurre l’interprete a  conclusioni diametralmente opposte. “Le sentenze, è vero, vanno sempre rispettate ed eseguite” (il refrain martellante contro il Cav.), ma quando il popolo, nel nome del quale esse sono pronunciate, non ne condivida le motivazioni, bisogna prudentemente riflettere. E, infatti, i sondaggi elettorali, ai principi di ottobre, davano il nostro personaggio in crescita. Una riforma della giustizia, nel senso di un più temperato uso del complesso e, assai spesso, delicato, meccanismo logico, sotteso al processo di formazione di una sentenza, potrà essere, forse, un bilanciamento tra ragione e moderazione. Il legislatore, dovrà, per le nuove generazioni, essere geniale, lungimirante e garante. E’ il senso dell’ultimo, saggio messaggio del Presidente della Repubblica. La Corte Europea per i Diritti dell'Uomo potrebbe  rappresentare e costituire, forse, un ulteriore controllo dei controllori nel nome di una più ampia visione dei diritti dell’uomo, contenuta nella Carta. L’eccezione, perciò, di sospendere il procedimento camerale di decadenza del leader dal Senato, prima della pronunzia della Corte Europea, o di sospenderlo, altresì, fino alla pronunzia della Corte Costituzionale, sulla irretroattività della legge Severino, improduttiva della decadenza dalle cariche parlamentari, del condannato, presentava, e presenta, elementi di eloquente giustizia. Ma c'è un ultimo argomento, quasi irresistibile, non ostacolato da nessun contrario strumento logico, e, cioè, che, disponendo, il leader, di posizioni economiche fuori dal comune, capacità economiche elevatissime, trascendenti, naturalmente, il comune sentire di un uomo comune, l’evasione di tre/quattro milioni di euro, sarebbe stata, per lui, una inezia, rispetto ai cinquecento milioni di tasse, pagate nell’anno di riferimento, sì da classificarlo come il primo contribuente italiano. Perciò, appare ragionevole il dubbio che un uomo di siffatte ampiezze economiche, andasse ad invischiarsi in una trama anti fiscale, di valore, per lui, quasi insignificante. Questo argomento, nella sua dirompente e dirimente forza logica, vince la trappola pseudo-logica del “non poteva non sapere”, elaborata dai Giudici di merito, ed accolta da quelli di legittimità. L’uomo, oggi, è distrutto: “mi vogliono far marcire in galera come Timoshenko”! I sentimenti e le emozioni cedono, alla fine, alla apparente  robustezza dei comportamenti esteriori.


 

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