AGNONE - Il numero troppo elevato di cinghiali nel territorio dell’Alto Molise sta arrecando danni ingenti agli agricoltori. Le scelte di ripopolamento, di razze particolarmente prolifere, adottate alcuni anni fa stanno costringendo gli agricoltori ad abbandonare la propria attività . E’ questa la sostanziale differenza con i problemi degli altri territori della regione, ultimante denunciati anche dal Presidente della Coldiretti di Isernia per quanto riguarda la piana di Venafro, i danni qui da non spingono alla resa.
La decisione di "lanciare" animali con queste caratteristiche, non ha tenuto conto di quanto più delicato esiste nella natura e cioè gli equilibri degli ecosistemi che sono attualmente nella quasi totalità alterati.
Il problema è appunto questo, nelle zone più fertili (limitrofe a corsi d’acqua e con bassa altimetria) che consentono la possibilità di adottare diverse è più prestigiose colture, gli agricoltori nella consapevolezza che i danni subiti, sono certi e non probabili, stanno abbandonando totalmente le attività .
Soffrono maggiormente i campi di mais, che stanno scomparendo, le vigne e addirittura in alcune contrade anche le piante di olivo. Per non parlare del pericolo di eventuali incontri ravvicinanti con intere cucciolate e le rispettive madri.
Le attività quindi si bloccano, arretrando sempre di più, tanto che le zone non ancora interessate lo saranno a breve.
Si parla spesso di sviluppo e turismo legato all’agroalimentare e alla qualità . Però non si legge mai dei passi antecedenti a tale argomento, quale appunto l’attività agricola. La stessa, si veda l’esempio della Val di Chiana, potrebbe essere un importante strada anche alla luce della necessaria inversione di tendenza che il commercio internazionale ci sta imponendo e cioè basse quantità , limitate specializzazioni e alta qualità . Ma i problemi vanno discussi e magari risolti.
Per questo si invitano gli agricoltori, a non rinunciare alle denunce dei danni subiti nonostante si possa considerare il risarcimento irrisorio.
Il fenomeno genera una riduzione di attività che comporta, un altro colpo restrittivo per la nostra economia.
Il problema però, noto e duraturo, non ha la giusta considerazione. Non si capisce perché non sia possibile soddisfare, o almeno dimezzare le necessità di alimentazione dei cinghiali. Per questo soprattutto nei periodi estivi sarebbe opportuno distribuire nei boschi cereali o altro (di bassa qualità ) cosi da far ridurre i danni subiti dagli agricoltori utilizzando magari i fondi indirizzati finora all’acquisto e al lancio di altri animali anch’essi estranei all’ecosistema (in merito è interessante sapere che nelle nostre zone esistono fagiani stagionali, non in grado di sopravvivere e che sono anche capaci di passeggiare al fianco di un uomo). O ancora introdurre nei boschi sostentamenti con sostanze che minimo la fertilità degli animali stessi. E ancora perché non sia possibile avere periodi ridotti e mirati di caccia anche d’estate e con l’ausilio di controllori.
La cosa certa è che il problema è reale, che aumenta costantemente, che la presenza di cinghiali si registra ora anche nei centri abitati e la sola risposta avviene da parte degli agricoltori che non coltivano più. Inoltre la fauna continua ad aumentare e l’assalto alle colture avviene anche da volpi e tassi in quantità sproporzionate.
Le soluzioni possono essere trovate ma prima di tutto il problema deve essere posto all’attenzione di chi di dovere. Inoltre sarebbe bello, e condiviso anche dagli stessi agricoltori, avere nei nostri boschi animali che siano in numero ridotto ma che siano autoctoni con caratteristiche in grado di legare perfettamente con l’ecosistema esistente. I minori danni sarebbero più facilmente accettati e le attività , di quei pochi operatori che ancora la esercitano, probabilmente non sarebbero eliminate. La questione quindi merita delle risposte e per il momento pare sia causa di questioni burocratiche l’ apertura ritardata della caccia.