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VALENTINA, A HERAT PER SALVARE LA VITA AI BAMBINI/ L'INTERVISTA

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In Afghanistan per strappare i bambini alla morte. E’ la storia di Valentina Capparozza, raccontata dalle telecamere del Tg1 ieri a ora di pranzo. Agnonese, 34 anni, infermiera professionale in forza al Pronto soccorso dell’ospedale “Sandro Pertini” di Roma, Valentina non è nuova a simili esperienze. Già in passato, infatti è stata impegnata su fronti caldi, quali Israele e Abruzzo, subito dopo il sisma. Grande professionalità e umanità, dicono di lei alcuni colleghi, la ragazza di origini molisane da circa due settimane sta lavorando nell’ospedale pediatrico di Herat realizzato grazie alla cooperazione messa in campo dall’Italia. Ci resterà fino alla fine del mese. In quella struttura quotidianamente arrivano bambini con gravissime infezioni intestinali o feriti da mine antiuomo o con traumi da strada. Ed è proprio in queste circostanze a volte estreme che i nostri sanitari entrano in azione. “Tutti i giorni siamo a contatto con casi difficili – dice Valentina al Tg1 – e la prima cosa che cerchiamo di fare è insegnare a queste gente come ci si gestiscono i primi soccorsi. Soprattutto cerchiamo di fargli capire cosa è il triace. Saperlo fare il più delle volte significa salvare vite umane”. C’è tanto da fare le chiede il giornalista e lei, con un sorriso smagliante che ispira fiducia, replica: “Tantissimo, ma noi siamo qui per questo e non molliamo”. Diversi stage in maxi emergenze, Valentina Capparozza è una di quelle ragazze che di esperienze così forti ha fatto una ragione di vita. Coraggio e quel pizzico di incoscienza fanno il resto. Riusciamo a contattarla tramite Skype e lei dopo una lunga e dura giornata di lavoro (in Afghanistan sono da poco trascorse le 22 quando in Italia l’orologio segna le 19,30) si presta con cordialità alle nostre domande. La prima cosa però che intende fare è quella di ringraziare pubblicamente i suoi colleghi, nonché Marco Urago, colui che dirige tutti i progetti, non solo quelli sanitari, che Cooperazione Italiana ha in corso in Afghanistan. Valentina, come va laggiù? “Tutto ok, si lavora tantissimo ma alla fine i risultati sono gratificanti”. Che tipi di casi arrivano nel vostro ospedale? “Di tutti i generi. Mentre in Italia alla prima tosse porti un bambino dal medico, qui il più delle volte arrivano in ospedale in situazioni difficili”. Cosa ti ha colpito di più in queste due settimane. “Tutto e il fatto che questa gente non possiede nulla” Dopo l’attentato ai soldati italiani avete paura? “No, altrimenti non potremo essere qui”. C’è una cosa che ti manca di più delle altre dell’Italia. “La verità? Agnone. Per il resto niente, visto che a fine mese rientrerò a Roma”. Cosa significa essere donna in Afghanistan? “Non è semplice spiegarlo. IL primo impatto non è dei più entusiastici. Sapete che in queste zone la donna è vista con un occhio diverso. Inizialmente ti guardano con sospetto, poi capiscono che siamo qui per aiutarli e allora tutto diventa più facile”. Possiamo aiutare, magari grazie a Il Nuovo Molise, le popolazioni dell’Afghanistan? “Sarebbe fantastico. Metto al corrente i miei colleghi. Qui mancano tante cose ma se iniziamo oggi a pensare a qualcosa di importante, insieme possiamo arrivare a fare qualcosa”. Allora ci risentiamo nei prossimi giorni? “Ok. Un saluto all’Italia e al Molise”. In bocca a lupo Vale...
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