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Previsioni in base al decreto Balduzzi: dove andrà a finire la sanità molisana?

Brevemente cerchiamo di spiegare quello che potrebbe accadere

redazione
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Il Decreto Balduzzi sulla sanità rischia, com'è già noto, di creare non pochi problemi al comparto ospedaliero molisano. Quello che in questa sede potrebbe interessare è cosa praticamente potrebbe succedere ai presidi locali.

Tale decreto, che ormai è diventato legge, è costituito da un documento complesso e articolato le cui voci prevedono tagli di diverse tipologie. Quello che verrà colpito sarà ovviamente il settore pubblico su tutto il territorio nazionale, ciononostante questo favorirà ulteriormente le strutture private che si troveranno così un bacino d’utenza maggiorato rispetto a quello attuale.

Dal punto di vista economico bisognerebbe ora capire la situazione molisana ed il motivo per il quale si trova in questo status di cose. Uno studio condotto anche dalla Banca d’Italia (di cui si parla qui) ha definito il Molise come l’unica regione che non è stata in grado di progredire economicamente disattendendo le aspettative derivanti dalla fine del 2013. Per quest’ultimo motivo si parla, spesso, di una mancata inversione della crisi.

Per spiegare la tragica situazione sanitaria molisano, invece, si potrebbe pensare che sia stata causata in parte dalla creazione di un numero troppo elevato di presidi ospedalieri affiancati ad un altrettanto elevata presenza di strutture private, lasciate libere di accreditarsi. Con questa massiccia presenza del privato si è giunti a ‘donare’ a tali istituti fino al 30% del fondo totale che, per il Molise, ammonta a circa 100 milioni di euro. Abbassando, in questo modo, il quantitativo di denaro da dedicare al pubblico vien da sé che la stessa sanità smette di essere un bene pubblico e si tramuta automaticamente in una merce di scambio.

Dunque lo scopo di lucro è quello che in un certo senso ha affossato la sanità pubblica che si è vista tagliare i fondi trovandosi, conseguentemente, nell’impossibilità di gestire i macchinari e il personale andando così a creare le famose liste di attesa che, ovviamente, nelle strutture private non esistono. Chiaramente, alla luce di tutto ciò, maggiori sono i tagli maggiori saranno i disagi per la mancanza, da un lato, di macchinari funzionanti e, dall’altro, del personale qualificato che sappia utilizzarli, in modo tale da aumentare ulteriormente l’inefficienza delle stesse strutture.

I piccoli ospedali, in questa situazione, fanno gola ai privati che cercano di riprendere le strutture eventualmente dismesse. Pertanto, tali centri, potrebbero essere riconvertiti ma non abbandonati, si tenga ben presente questo, destinando ai privati solo il 20% dei fondi statali impedendo così, a quest’ultimi, di sostituire in toto la sanità pubblica. Sarebbe quindi urgente una deospedalizzazione delocalizzando i servizi ma rendendoli efficaci.

Tuttavia, anche se queste sembrano essere soluzioni accettabili, sembra che nasca un paradosso rispetto all’apertura del decreto: 'L’obiettivo è quello di garantire l’attività assistenziale per l’intero arco della giornata e per tutti i giorni della settimana…adottando forme organizzative monoprofessionali e multi professionali'. 
Scendendo più nel particolare, invece, i problemi saranno altri: gli ospedali dovranno ‘ingaggiare’ autisti piloti per le ambulanze.

Un esempio pratico: è stato calcolato che l’ospedale Caracciolo di Agnone sarà ‘ridimensionato’ rimanendo aperto per 12 ore al giorno. Fin qui sembra quasi una vittoria se non si considera che dalla regione è giunta voce che per raggiungere Isernia, primo centro attrezzato, ci si impiegherà un’ora.

Quindi, i semafori saranno tutti verdi, il traffico sparirà per magia così come anche la neve che in quest’ultimo periodo copre le strade.
Questa è la situazione che riguarda Agnone che se, come invece alla luce dei fatti è, non venisse dichiarata come zona fortemente disagiata potrebbe diventare una triste e oscura realtà.

Il discorso potrebbe proseguire con gli altri ospedali regionali: Termoli, Isernia e Campobasso. Nei primi due casi avverrebbe un declassamento a presidi di base mentre per quanto riguarda il capoluogo il suo presidio perderebbe il Dea di secondo livello. Ovviamente, anche in base a quanto detto poc'anzi, anche gli istituti privati potrebbero subire qualche perdita come ad esempio la Cattolica che perderebbe il reparto di Cardiochirurgia e al Neuromed non ci sarebbe più la Neurochirurgia.

L'unica cosa che resta da fare è affidarsi alla regione che ha il compito, arrivati a questo punto, di opporsi al decreto facendo valere il diritto alle cure di tutti i cittadini muovendosi contro le decisioni del governo seguendo un fronte compatto.

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