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Vastogirardi: Sand’Anduόnә - tradizione antica, emozione sempre nuova!

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VASTOGIRARDI -  La dott. Anna Scocchera racconta  Sand’Anduόnә - tradizione antica, emozione sempre nuova!
Eravamo molto piccoli quando, una precisa sera d’inverno, si notava un gran fermento nei vicoli stretti e bui del nostro paese. Ragazzi, uomini, donne erano intenti a cercare qua e là e a portare con il solo uso delle braccia o del “baiérdә” (mezzo usato per il trasporto di pesi somigliante ad una grossa scala e con i manici abbastanza lunghi da poter essere impugnati da due o quattro persone) pezzi di legna di tutte le dimensioni e di accatastarle con lo scopo di costruire il falò più grande.. Eh, già, perché per il periodo di cui trattasi, diventava una gara, una scommessa a non farsi superare dagli altri per rallegrare il proprio vicolo con il fuoco più bello: il fuoco in onore di Sant’Antonio Abate, del 17 gennaio!
Non comprendevamo noi piccoli com’eravamo, quei gesti, ma i nostri occhi si riempivano di meraviglia e di stupore nel vedere quel suggestivo spettacolo di fiamme e di scintille che s’innalzavano verso il cielo. La devozione del fuoco richiedeva un rito altrettanto religioso e simbolico: il parroco pro-tempore impartiva la benedizione agli animali, sul cui corpo veniva impressa una croce mediante la rasatura del pelo. In molte stalle faceva bella mostra di sé l’immagine devozionale di Sant’Antonio Abate, con la ferula in mano e circondato dagli animali domestici, tra cui il maialino. A quest’ultimo si ispira Il detto che apostrofa chi mangia dove capita: “Simbrә rә puόrchә dә Sand’Andόniiә”! (assomigli al maialetto di Sant’ Antonio!) per la consuetudine di far girare, tutto l’anno nel centro abitato, un maialetto affinché ogni famiglia contribuisse a farlo ingrassare. Una volta raggiunto il peso ottimale, l’animale veniva ammazzato nel periodo invernale e consumato da tutta la popolazione.
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Nonostante il rigore dell’inverno, attorno ad ogni fuoco era tutta un’allegria e ci si intratteneva con i canti accompagnati dalla fisarmonica, gustando “lә patanә cottә sottә alla cenә” (le patate cotte sotto la cenere), “rә sciuscә” (i chicchi di granturco lessati) “rә pungәchigliә” (le frittelle).
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Ognuno provvedeva, per buon auspicio, per fede e devozione al Santo, a portare nel proprio caminetto un po’ di brace prima che il fuoco si spegnesse.
Questa tradizione, che si perde nella notte dei tempi, seppur con modalità diverse, continua ancora oggi con lo stesso entusiasmo e lo stesso fermento. I falò a cura della Pro-Loco e dell’Amministrazione Comunale illuminano la piazza del Castello Medievale, la piazza della Torre Civica e la piazza principale “la Valandunina” dove vengono allestiti tavoli con i prodotti locali e dove, di solito, si esibisce anche un gruppo folk. I privati utilizzano anche la legna fornita dal Comune per i loro fuochi e si attivano, aiutati da donne e bambini a preparare da mangiare e bere genuino.
Come da consuetudine, i falò vengono accesi all’imbrunire, il crepitio della legna e del ginepro che svetta sulla cima, il fumo e le mille scintille destano sempre una grande emozione in tutti, ma sono anche una grande attrattiva per i numerosi forestieri che non mancano mai a questo appuntamento.
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È un rito fare il giro dell’abitato per visitare i vari fuochi, cantare, ballare e gustare, oltre a “rә pungәchigliә”, “rә sciuscә”, la carne, le salsicce, le scamorze abbrustolite alla brace e quant’altro, accompagnando con vino e bevande varie. La festa attorno ai fuochi, com’è facile immaginare, si protrae per molti fino alle prime luci dell’alba; se le condizioni del tempo sono proibitive ci si accontenta anche di ripararsi in scantinati o fondaci e, comunque, in prossimità dei fuochi.
Il progressivo calo dell’attività agricolo-zootecnica, ha sminuito in parte la dimensione religiosa, ma la tradizione è sempre molto sentita perché consacrata alla convivialità, alla condivisione, al piacere di stare insieme.
L’evento ha avuto una risonanza a livello nazionale grazie al programma ”L’Arca di Noè” trasmesso da Canale 5.
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