Gli sposi della foto nonostante l’aria greve e seriosa erano poco più che bambini e non avevano neanche 20 anni. Pare che il loro amore fosse stato anche contrastato perché per lui era stata scelta un’altra donna che la famiglia riteneva più adatta. Ma lui non ne volle sapere e alla fine la spuntò riuscendo a portare all’altare la donna che gli aveva rubato il cuore. A giudicare dalle foto non dovevano passarsela male. Gli abiti sono lussuosi sia nella foto della “parentezza” ,cioè del fidanzamento ufficiale con i parenti stretti a fare da sfondo ,sia in quella del matrimonio che sicuramente,come si usava all’epoca,fu scattata qualche giorno dopo nello studio del fotografo. Lunghe collane d’oro,chiamate “lacci”, ornavano il collo delle donne,lo sposo ha la “cipolla” sul vestito,cioè l’orologio da taschino con catena d’oro tanto usato in quei tempi. Dopo poco lei scoprì di essere incinta ,ma gli sposi vissero quella prima gravidanza l’uno lontano dall’altra giacchè lui fu chiamato per svolgere la leva militare obbligatoria e lei era in casa con la famiglia di lui. Così successe che arrivò il giorno del parto che lei affrontò senza la vicinanza del suo amore,in casa e accudita dalle donne di famiglia e del vicinato. Non dovette essere un parto facile sia per le condizioni in cui avvenne ,sia per la giovane età della sposa che aveva solo 20 anni. Nacque un maschio,il 3 novembre 1929 e sicuramente questo fu considerato una buona cosa: quanto ci si teneva al “maschio” che portava con sé l’assicurazione della continuità della famiglia!Fu inviato al giovane militare un telegramma con la scritta “Nato figlio. Maschio. Torna”. Ma le cose si misero male:la giovane mamma non stava bene,perdeva molto sangue e aveva forti dolori. Le donne di casa le davano da bere una grappa fatta in casa “così prende forza” (ogni considerazione a riguardo è inutile), le cambiavano spesso i panni su cui era adagiata perché si inzuppavano di sange…ma erano,secondo loro,perdite normali post partum. Ma la ragazza non si riprendeva. Così,finalmente, qualcuno pensò che fosse il caso di chiamare il medico del paese. Loro abitavano nella frazione di Fontesambuco,il medico era ad Agnone centro. Così qualcuno salì in groppa all’asinello ( nessuno nella frazione di contadini possedeva un auto né tanto meno il telefono) e si avviò verso il paese. Quando il medico, che mi dicono fosse il famoso Don Ciccio D’Onofrio, dopo svariate ore giunse al capezzale della giovane ,disperato urlò ” Perché avete aspettato tanto?L’avete prima ammazzata e poi mi avete chiamato?”. Già, perché era passata più di una settimana dal giorno del parto e il medico potette solo constatare che per quella mamma non c’era più niente da fare. La donna morì il 16 novembre 1929, dopo 13 giorni dal parto, dissanguata e tra atroci dolori. E lui? Suo marito? Il padre del “figlio maschio?”. Lui, ricevuto il telegramma, tornò a casa: è facile immaginare anche ora quale fosse la gioia che lo pervadesse. Avrebbe rivisto sua moglie, avrebbe preso tra le braccia il suo primo figlio. Arrivò trafelato e che non stava più nella pelle. Mi raccontano che la casa aveva una scala esterna (c’è ancora) ripida e senza ringhiera, che portava al primo piano dove era l’ingresso. Il giovane saliva gli scalini quattro a quattro e fischiava tanto era felice. Ma una donna in cima alle scale gli disse :” …non fischiare,non cantare:tua moglie sta morendo.” Il giovane , com’è facile immaginare,fu scioccato dalla notizia datagli oltretutto in quella maniera così brutale così che ebbe un mancamento e cadde rovinosamente all’indietro,sulle scale,battendo violentemente la testa. Non fu mai più lo stesso. Quella caduta e quel trauma furono la causa di feroci emicranie che lo accompagnarono per tutto il resto della sua vita,e che lo costrinsero a lunghe degenze a letto,al buio e senza poter né parlare né nutrirsi. Una parte della sua forza giovanile morì con la sua giovane moglie. Lei si chiamava Annunziata Longo classe 1909, nata il il 25 marzo e morta il 16 novembre 1929 a soli vent’anni di parto. Era mia nonna. Il marito si chiamava Michele Zarlenga. Mio nonno. Il bimbo,che non ha mai conosciuto sua madre, si chiamava Domenico: mio padre. Io ho sempre odiato il mio nome:Annunziata. Me ne sono vergognata per anni…troppo lungo….troppo pesante…non mi piaceva neanche il suo diminutivo,Nunziatina. Ho fatto pace con questa cosa e con il mio nome solo quando,dopo la morte di mio padre,tra le sue carte trovai una poesia dedicata alla sua mamma mai conosciuta:tra tutte le parole d’amore che le scriveva c’era una frase che mi colpì nella quale le scriveva che quando mi chiamava ,tutte le volte,un pensiero correva anche a lei e nella sua mente le diceva “ciao mamma”. Mio padre non conobbe mai sua madre,né seppe mai che viso avesse. Solo dopo il suo matrimonio potette dare un volto a sua madre. Successe grazie a sua moglie,mia madre, che una notte ,giovane sposa,fece un sogno. Sognò una bella signora,molto ben vestita, che l’aiutava a stirare il suo corredo e le disse “ …devi volergli molto bene a Domenico ,promettimelo:ha solo te”. Qualche giorno dopo il sogno, ancora scossa, trovò una cassetta di lettere. Erano dei fratelli di mia nonna Annunziata che erano tutti in America. Mia madre scoprì che erano loro che inviavano i soldi a mio padre,anzi ai suoi nonni che lo crebbero,per farlo studiare e mantenerlo: seguirono il figlio di quella sfortunata sorella fino al suo diploma,grazie a loro mio padre si diplomò e diventò un maestro e lo sottrassero così ad una dura vita di campagna. Mia madre non perse tempo e scrisse a quegli sconosciuti,gli raccontò della loro vita, gli mandò finalmente una foto di quel nipote che avevano così amato ed accudito e chiese se per caso avessero una foto di sua suocera…ed è così che,ormai adulto, il mio papà conobbe finalmente il volto della sua mamma. Le foto che vi mostro giunsero dall’America…ed è inutile dirvi che la signora della foto, la mamma di mio padre, era la stessa che in sogno visitò mia madre. Mi piace pensare che dovunque fosse trovò lo stesso il modo di accarezzare quel figlio che le costò la vita, e con questo racconto voglio anch’io accarezzare mio padre segnato a vita da questo destino e chiedergli scusa per non aver capito quanto lo ferissi quando dicevo “ ma perché mi avete chiamato così?”. Voglio anche mandare un bacio a mia nonna “Ciao,nonna Nunzia…lo sai che adesso anch’io sono nonna Nunzia???Certo che lo sai.” PS: Ho voluto raccontarvi questa storia triste,ma sicuramente piena d’amore,anzi ho voluto raccontarla ai miei figli,fermarla su un foglio affinchè non si perda nei meandri della memoria, perché non vadano perse le origini della nostra famiglia, perché attraverso questo racconto conoscano e capiscano ancora meglio alcuni meccanismi, diciamo “affettivi”, che l’hanno caratterizzata e perché sono certa che adesso,da adulti,questo gli consegni degli elementi in più per capire Nonno Domenico che tanto li ha amati.