Il confine tra diritto di cronaca e social network è labile. Soprattutto se riguarda persone che lo esercitano e non appartengono alla categoria dei giornalisti. Come diceva Umberto Eco al tempo di internet ha diritto di parola anche un imbecille che in altri tempi lo avrebbe avuto solo al bar davanti a una birra.
Accade oggi che, in seguito alla notizia di una scuola dell’infanzia dove bambini sono stati maltrattati, un utente facebook si informa sul paese dove si sono svolti i fatti (facile perché Venafro è stata nominata da tutti, giornalisti e politici). E questo è solo il primo passo. Legge poi sulla bacheca di qualcuno i nomi delle maestre. Perché sì, un’altra persona presa dalla sbornia di rabbia ha pubblicato su facebook le generalità delle donne coinvolte. La prima persona quindi va oltre: cerca sempre sul social network i profili delle maestre coinvolte. E trova le fotografie.
Cosa decide di fare? Pubblicare le foto con tanto di post che incita alla violenza. Ovviamente tutto questo non è consentito. Nessuno può prendere le immagini di persone coinvolte in una inchiesta e pubblicarle con riferimento ad essa e soprattutto incitando alla violenza.
In caso si tratti di un giornalista si deve attenere all’articolo 8 del codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica.
Ora però accade che, grazie a internet liquido, chiunque si senta in diritto o dovere di esprimere la propria opinione anche sui più svariati argomenti. E ledere quella privacy di cui gli indagati devono godere. In un paese civile e normale quale l’Italia è secondo la Costituzione che ne garantisce l’esistenza.
Accade in un Paese dove si è innocenti fino a prova contraria e fino a condanna definitiva che si costruiscano tribunali del popolo, che condannano alla pena di essere investiti con l’automobile quelle persone che giudicano tali. La violenza si moltiplica e si arriva alla barbarie più totale.
Ecco cosa è avvenuto e di quanta cattiveria è carico questo post.
E naturalmente c’erano commenti altrettanto pieni e carichi di odio. Noi volutamente abbiamo tolto ogni riferimento alle indagate. Affinché l’informazione continui a raccontare quello che accade ma senza essere complice della campagna d’odio che i social continuano a fomentare. Riprendendoci il diritto di indignarci quando la dignità delle persone viene calpestata.