Si parla di loro non appena avviene la tragedia: il femminicidio della loro mamma da parte del loro padre. La cronaca ci racconta come si chiamano, quanti anni hanno, se sono stati testimoni della tragedia. Poi scompaiono, non ne sentiamo più parlare. La loro vita continua ma non sappiamo più nulla di loro. Eppure se l’assassinio di ogni donna vittima di violenza maschile è la fine del suo calvario, per i suoi figli e figlie è la continuazione o l’inizio. L’inizio di un cammino complicatissimo: un labirinto burocratico per accedere agli scarsi aiuti, svolto per loro tramite da nonni o zii, lo stigma sociale, perché figli di un assassino oppure la compassione fine a se stessa. Il dover fare i conti di vivere con il dolore, la paura, l’angoscia. Spesso li aspetta un futuro economico incerto, visto che chi li accoglie, nonni materni soprattutto, non sempre dispone delle risorse necessarie. E tutto questo unito al dolore di crescere senza la mamma.
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