Per molte persone in questi giorni è come vivere dentro la novella di Pirandello “ Così è, se vi pare“.
Si è bombardati da ore e ore di discussioni sulla pandemia, con opinioni contrastanti e dibattiti infiniti su cosa e come bisognava fare per evitare la seconda ondata, con l’impossibilità, per i comuni mortali, di riconoscere la realtà dei fatti ed ognuno è libero di darne la propria interpretazione tanto che il virus, come uno dei protagonisti dell’opera potrebbe esclamare “ io sono colui che mi si crede”.
Questa volta però in nostro aiuto arrivano, implacabili, i numeri. I due grafici che riportano, andamento terapie intensive e ricoveri, sono stati fatti un paio di settimane fa. I numeri parlano chiaro. I numeri corrono, il muro è davanti a noi e se non rallentiamo potremmo andare a sbattere. Il governo ha deciso di alzare il piede dall’accelerazione e non tirare il freno a mano . La ratio del mini lockdown, partorito con l’ultimo Dpcm, è quello limitare la circolazione delle persone per tentare di conciliare la salute con le ragioni economiche.
È stato deciso che dopo le h18, quando la maggior parte delle persone ha concluso la propria attività lavorativa, tutte le attività di ristorazione, ludiche e di aggregazione debbanono abbassare la saracinesca. Non perché il virus sia meno contagioso, ma per limitare le occasioni di incontro. Un duro colpo per tante categorie che legittimamente protestano e chiedono aiuti immediati. Come loro sono colpiti tante altri lavoratori delle filiere che direttamente o indirettamente ruotano intorno a loro e che andranno in sofferenza. Tutti dovrebbero essere aiutai, subito. Le risorse non sono infinite e quelle messe in campo probabilmente non riusciranno a coprire tutte le perdite. Mi piacerebbe riconoscere a tutte le persone coinvolte, un ristoro ( che brutta parola) che li facesse stare tranquilli fino a fine anno. Ma come si potrebbe fare? Iniziando con un “contributo di solidarietà “ minimo, da parte delle categorie garantite e aggiungendo una patrimoniale dell’ 1% per le ricchezze sopra i 10 milioni di euro, come sta avvenendo in Spagna. Questo, forse, potrá ricomporre la spaccatura che si è venuta a creare in questi mesi tra le varie fasce di popolazione.
Perché stiamo ripiombando nell’incubo di marzo?
È colpa un po’ di tutti. Di chi ha minimizzato dando esempi sbagliati di comportamento, è colpa di chi doveva comunicare la scienza e spesso ha dato messaggi contrastanti agli occhi dei più. E’ colpa del governo che avrebbe dovuto agire ai primi dati di allarme, e attuare meglio le famose tre T ( Tracciamento, Test, Trattamento) mentre è stato campione sulla quarta T, quella del tempo perso. È colpa degli esponenti delle opposizioni che, pur di andare contro la maggioranza, hanno fatto di tutto per dare il messaggio del libera tutti, salvo poi, in questi giorni, accusare Conte di non aver previsto la seconda ondata. È colpa delle Regioni che non hanno potenziato il trasporto pubblico, vero punto debole nella trasmissione del virus.
E’ colpa delle Regioni che, anche avendo avuto i soldi, non hanno potenziato i posti di terapia intensiva come previsto dal piano pandemico, ad eccezione della meritoria Emilia Romagna. E’ colpa delle Asl che non hanno saputo gestire i tamponi e organizzare le famose USCA e il potenziamento della medicina territoriale. È colpa di chi , prevedendo già una seconda ondata non ha mai smesso di terrorizzare, diventando lo iettatore di turno. È colpa di chi la mascherina la usava per scaldarsi il collo o per coprirsi l’avambraccio.
O Forse no, non è colpa di nessuno e qualunque cosa avessimo fatto, il virus sarebbe ripartito ad infettare come e più di prima con l’avvicinarsi dell’inverno, non potendo noi stare in perenne lockdown.
Ora però la curva si sta rialzando minacciosa e bisogna invertirne la tendenza. Come? La strategia più immediata sarebbe stata un’altra serrata generale, di almeno un mese, che non sarebbe stata capita e creato ancora più tensioni sociali.
Si sta tentando, perché di tentativo si tratta, di rallentare la macchina dopo le h18 nella speranza di evitare l’impatto. Dobbiamo sperare che questa strategia funzioni e tra 10/15 giorni ne avremo il responso.
Forse saranno necessarie chiusure mirate o saremo obbligati a mettere in sicurezza i più anziani o i più vulnerabili. Intanto possiamo singolarmente cercare di frenare la corsa facendo le cose più semplici, come indossare la mascherina, mantenere il distanziamento evitando assembramenti e muoverci il meno possibile se non strettamente necessario. Insieme possiamo farcela. L’alternativa sará tornare sui balconi, non con gli arcobaleni, ma con le lenzuola bianche in segno di resa verso il virus e con la consapevolezza di aver vanificato gli sforzi di tante persone che si sono sacrificate inutilmente. Sempre i numeri ci dicono che, rispetto al resto d’Europa , ad es. la Francia tornerà in lockdown tra un paio di giorni, siamo in vantaggio di un paio di settimane, e possiamo ancora invertire la rotta con la responsabilità di tutti.
Per uscire dal tunnel, dobbiamo aspettare il vaccino o una cura con gli anticorpi monoclonali, ma fino a primavera dobbiamo stringere i denti e andare avanti convivendo col virus. Sarà un tira e molla duro da sopportare ma non abbiamo altre strade. Pensare di liberarcene subito o minimizzare e abbandonarci a comportamenti non rispettosi della salute degli altri sarebbe da irresponsabili e non possiamo permettercelo, ne andrebbe di mezzo la convivenza sociale e la vita di molte persone, sicuramente le più deboli, che abbiamo il dovere di proteggere. Incrociamo le dita e come titola il famoso libro di Marcello D’Orta :” io speriamo che me la cavo”.