Ci sono persone che non “passano” semplicemente nella vita degli altri: arrivano, restano, lasciano un segno. Domenico Iannacone, noto giornalista molisano originario di Torella del Sannio, lo racconta con parole limpide e intense parlando di don Gino D’Ovidio, sacerdote triventino e parroco del vicino comune di Duronia.
Nel suo post social, Iannacone descrive una visita recente: “Ieri è venuto a farmi visita don Gino, il prete contadino di un paese vicino al mio. Le sue non sono mai semplici visite. Sono presenze.” Leggi : https://www.facebook.com/domenico.iannacone.1
Don Gino arriva con cesoie e attrezzi, guarda l’acero come si guarda un essere vivente e, senza clamore, si mette a potarlo. Come scrive Iannacone: “Guarda l’acero, lo saluta a modo suo, e senza dire una parola si arrampica per potarlo.”
Non taglia i rami a caso: li osserva, li ascolta, li pesa con lo sguardo, decidendo quali liberare e quali lasciare crescere. Un gesto antico, tramandato dalla tradizione contadina, che racconta il rispetto per la terra e per i suoi tempi. “Potare una pianta è un’arte antica, paziente, che si tramanda di padre in figlio. Un sapere che non si studia, si eredita”, aggiunge il giornalista.
Il racconto mette in luce non solo la cura verso la natura, ma anche l’approccio umano di don Gino: silenzioso, attento, capace di guardare in profondità e di ascoltare davvero le persone. Nei commenti al post, molti ricordano la sua umiltà e la capacità di custodire memoria e tradizioni: “Don Gino non è solo un sacerdote! È custode del nostro passato che mette a disposizione di chi apprezza ancora le nostre tradizioni!”
In un tempo che corre veloce e spesso dimentica le radici, figure come don Gino ricordano il valore della lentezza, dell’ascolto e della cura. Che si tratti di un albero o di una persona, il gesto è lo stesso: guardare con rispetto, accompagnare senza forzare, lasciare che la vita cresca. E, conclude Iannacone, “Ho pensato che sono fortunato. Fortunato ad avere un acero custodito così. Fortunato ad avere una casa chiamata Itaca. Ma soprattutto fortunato a conoscere uno come don Gino.”