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Una pipì negata a un operaio costa 5mila euro alla Sevel: la sentenza è del Tribunale di Lanciano

Redazione
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Cinquemila euro per una pausa pipì negata. Ma non solo c'è anche la rivalutazione monetaria e le spese di giudizio. A tanto è stata condannata la Sevel di Atessa Val di Sangro dal  Tribunale di Lanciano. Che ha accolto   il ricorso di un operaio che, non essendo autorizzato a muoversi dal proprio posto di lavoro fu costretto a farsi pipì addosso.  E' la stessa sentenza di primo grado a ricostruire quando e come si svolsero i fatti.

L'increscioso episodio è avvenuto alle 16.45 del 7 febbraio del 2017. E' stato allora che per la prima volta ha azionato il dispositivo di emergenza per attirare un team leader e chiedere il permesso di allontanarsi. Il tutto con esito negativo. 

L’operaio. come riporta testualmente la sentenza  “ha dunque azionato il dispositivo di chiamata- emergenza della postazione vicina”, sempre “con esito negativo” e alla fine ha chiesto ai team leader che si trovavano nei paraggi il permesso di recarsi alla toilette, senza però ottenere risposta positiva, fino a quando, “giunto allo stremo, e non avendo alternativa alcuna, lasciava la postazione e correva verso i servizi igienici, non riuscendo ad evitare di farsela nei pantaloni ,nonostante ciò, riprendeva immediatamente il suo lavoro; chiedeva di potersi cambiare in infermeria, ma tale permesso gli veniva negato”, tanto che il lavoratore è riuscito a cambiarsi solo “durante la pausa, alle 18, presso il cosiddetto “Box Ute”, al cospetto di tutti i lavoratori vicini, donne comprese.

Fondamentali in sede di giudizio le testimonianze dei colleghi di lavoro che erano presenti sul posto in quegli attimi.  Il giudice ha stabilito che il datore di lavoro ha arrecato concreto e grave pregiudizio alla dignità personale del lavoratore nel luogo di lavoro, al suo onore e alla sua reputazione, indubbiamente derivante dall’imbarazzo di essere osservato dai colleghi con i pantaloni bagnati.

 

 

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