9 maggio 1978: L’uccisione di Aldo Moro, un giorno che ha segnato l’Italia per sempre
Oggi, 9 maggio, l’Italia si ferma per ricordare. Non una celebrazione, ma una ferita che pulsa ancora. Quarantasette anni fa, in via Caetani, nel centro di Roma, veniva ritrovato il corpo di Aldo Moro, ucciso dopo 55 giorni di prigionia. Non era solo un uomo di Stato: era una mente lucida, un politico che cercava il dialogo quando tutti urlavano, un cattolico che parlava di responsabilità con voce sommessa, ma ferma.
Il suo sequestro, iniziato il 16 marzo 1978 con l’agguato di via Fani, in cui persero la vita cinque agenti della sua scorta, aprì uno dei capitoli più bui della nostra Repubblica. Per 55 giorni, il Paese visse sospeso, tra comunicati delle Brigate Rosse, trattative negate, lettere strazianti e silenzi assordanti.
Moro scrisse dalla prigionia con lucidità. Chiamava per nome i suoi amici di partito, li supplicava, li sfidava moralmente. Nessuno rispose. Si scelse la linea della fermezza. E alla fine, Aldo Moro fu abbandonato in una Renault 4 rossa, simbolo macabro di un’Italia che non riusciva a salvare se stessa.
Ridurre Moro a una vittima del terrorismo è un torto alla sua statura. Fu statista vero. L’artefice del centro-sinistra negli anni ’60, il promotore del “compromesso storico” negli anni ’70, Moro tentò di portare il Partito Comunista all’interno dell’area di governo non per cedimento, ma per visione: un’Italia più stabile, più rappresentativa, più matura. Forse fu proprio questa apertura a condannarlo. Le Brigate Rosse lo eliminarono, ma l’inerzia politica lo lasciò morire.
Oggi lo ricordano in molti, spesso con parole rituali. Ma la verità è che l’Italia non ha mai davvero fatto i conti con la morte di Aldo Moro. Troppi silenzi, troppe opacità nei rapporti tra politica, servizi segreti e poteri occulti. La sua vicenda è ancora terreno scivoloso, storia aperta più che passato chiuso.
Ricordarlo significa oggi porsi domande scomode. Sulla legalità, sul coraggio civile, sul compromesso tra etica e potere. Non basta deporre corone di fiori. Serve raccogliere l’eredità del pensiero di Moro: un’Italia capace di includere le diversità, di dialogare davvero, di cercare la verità anche quando fa male.
Aldo Moro è morto nel cuore di uno Stato che non ha saputo proteggerlo. Ma finché lo ricorderemo per quello che era — un uomo che credeva nella politica come strumento umano prima che ideologico — allora potremo ancora sentirlo vivo.