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Politici incapaci, la mano passi alla cittadinanza

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Caro Direttore,
preliminarmente colgo l’occasione per ribadire (ben sapendo che la cosa potrebbe annoiare, se non addirittura infastidire) che l’organo di informazione che hai l’onore e l’onere di dirigere svolge un ruolo essenziale nella vita civile e democratica dell’Alto Molise e del Vastese interno: evita di censurare le opinioni non condivise, distingue in modo chiaro e netto le notizie dalle opinioni, rende chiara e trasparente la linea editoriale, tanto da costituire un raro esempio di corretto uso dell’informazione. 
Vengo immediatamente al merito della questione, cercando di contribuire con qualche riflessione al confronto di opinioni (molto aspro, sicuramente, ma non per questo meno interessante) tra Enzo Delli Quadri e don Francesco Martino.
Ha ragione Enzo Delli Quadri, quando sostiene che è pressoché inevitabile l’unione-fusione dei comuni e che questa sarà presto stabilita per decreto, se non avverrà per libera scelta dei territori delle aree montane (e, aggiungo io, sarebbe auspicabile che il processo di integrazione - sia nell’articolazione che nei contenuti - partisse dai territori al fine di evitare gli errori e le distorsioni che inevitabilmente si verificheranno ove scelte di questo tipo venissero compiute “a distanza” – da questo punto di vista la recente e fallimentare vicenda della soppressione/accorpamento delle province è sotto gli occhi di tutti).
Così come ha ragione don Francesco Martino, quando sostiene che le istituzioni locali non sono state assolutamente all’altezza del ruolo e che, trattandosi di scelte compiute attraverso atti regionali, sarebbe stato comunque necessario ricorrere sia all’esercizio di forme di pressione maggiormente efficaci nei confronti dell’ente Regione (perché recedesse dai passi compiuti, come nella Val d’Ossola), sia alla giustizia amministrativa (per individuare punti di debolezza nei percorsi amministrativi seguiti da chi ha compiuto le scelte).

Ciò che invece non mi pare sia emerso finora da questo confronto è che l’unica modalità potenzialmente efficace è un forte coinvolgimento della cittadinanza, non solo attraverso le forme associative (quali possono essere senz’altro i comitati civici), ma anche (e soprattutto, direi io) attraverso l’utilizzo di forme di partecipazione che contribuiscano, attraverso il dialogo, il confronto, la discussione, il coinvolgimento, a far crescere sia la consapevolezza da parte dei territori delle proprie necessità e delle proprie legittime aspettative, sia la  forza e la determinazione necessarie per modificare lo stato attuale delle cose: mi riferisco agli istituti di partecipazione popolare (tra i quali principalmente i referendum comunali) introdotti nella legislazione degli enti locali fin dal 1990 e fino ad oggi troppo poco (o per nulla) utilizzati.

Mi chiedo: quale sarebbe stato l’esito della vicenda dell’ospedale Caracciolo se in un consistente numero di comuni ci fosse stata la formale e contestuale espressione della cittadinanza attraverso un referendum consultivo?

Gli statuti comunali prevedono obbligatoriamente la disciplina degli istituti di partecipazione popolare: a mio giudizio, uno dei compiti di chi ritiene di avere sufficientemente chiaro cosa sia necessario fare rispetto ai temi dello spopolamento, della marginalità delle aree interne, del depauperamento del territorio, è attivare questi strumenti per rendere innanzitutto viva la comunità e per fare in modo che le scelte da compiere siano sentite, mature e abbiano un’adeguata rappresentanza.
Anche perché (per dirla tutta) la classe politica che ha contribuito a determinare l’esito attuale non sembra assolutamente consapevole, né capace, né in alcun modo credibile, per prefigurare nuovi scenari, individuare nuove opportunità, scoprire nuovi orizzonti (d’altronde le recenti elezioni politiche hanno dimostrato di quanta fiducia godano – giustamente, aggiungo io - da parte dei cittadini elettori).
Per cui (e completo la mia riflessione) l’idea del coinvolgimento degli attuali amministratori locali quale modalità per conseguire risultati di cambiamento dello status quo mi sembra prevedibilmente fallace.

In conclusione, si tratta di prendere nella dovuta considerazione il coinvolgimento della cittadinanza, determinare le condizioni perché possa esprimersi formalmente, confrontarsi in modo aperto sugli scenari, sugli obiettivi e sulle proposte, far crescere la consapevolezza dell’ “essere comunità”.
E’ un percorso lungo e faticoso, che richiede costanza, determinazione e perseveranza: c’è qualcuno interessato a tentare la strada della partecipazione e della democrazia?

Con rinnovata stima.
          Fabio Mucilli

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