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A DIECI ANNI DALLA MORTE, PANTANI VIVE

Per gli appassionati di ciclismo il 14 febbraio rappresenta un giorno triste

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Per gli appassionati di ciclismo il 14 febbraio, San Valentino, festa degli innamorati, da dieci anni a questa parte rappresenta un giorno triste, di lutto nazionale. Nel 2004 si spense tristemente e in perfetta solitudine Marco Pantani, prima “Elefantino”, poi, quando iniziò ad assaltare e a cingere d’assedio le salite più dure del mondo, ribattezzato più opportunamente “Pirata”. La sua morte ha ancora molti punti oscuri, che probabilmente mai verranno svelati fino in fondo, ma Pantani non è questo e non può essere ricordato per questo. Troppe vittorie, troppe imprese, troppi sogni regalati agli sportivi italiani e stranieri. Una cometa che ha illuminato il cielo, e spesso le notti, del ciclismo e dello sport per quasi dieci anni. L’impero di Indurain finito sotto i suoi colpi sulle terribili rampe del Mortirolo, al Giro d’Italia del 1994. Chiuderà secondo in classifica dietro la meteora Berzin e davanti al navarro. In quello stesso anno partecipa al Tour de France aggiudicandosi la terza piazza in classifica generale (miglior giovane), dietro lo stesso Indurain e il coriaceo Ugrumov. A soli 24 anni, quando molti sono ancora impelagati nella categoria dilettantistica, il Pirata ha già all’attivo due podi nelle due corse a tappe più prestigiose del calendario agonistico. L’anno successivo - 1995 - il primo dei tanti infortuni, dal quale si riprenderà alla grande per il Tour, dove vinse la tappa pirenaica di Guzet Neige e trionfò da cannibale nella tappa regina dell’Alpe d’Huez, stabilendo il record di percorrenza della mitica cima alpina (record tuttora imbattuto). Nel campionato del mondo svoltosi in Colombia conquista la medaglia di bronzo dopo una corsa tutta cuore, grinta e classe, stretto nella morsa iberica di Olano (medaglia d’oro) e Indurain (argento). A fine anno secondo grave incidente ciclistico, tibia e perone fratturati. Il 1996 passato a recuperare dai danni fisici e a preparare la stagione successiva, quella del ’97, quella dell’agognato rilancio e della definitiva consacrazione. Passa alla Mercatone Uno, il team della svolta, ma al Giro d’Italia, nella discesa del Valico di Chiunzi, un gatto attraversa la strada e lo stende a una velocità considerevole. Nel gruppone di cento ciclisti l’unico ad essere colpito da questa scheggia impazzita è proprio il Pirata, che si rialza, arriva al traguardo tra mille sofferenze, scortato dalla squadra. Le fibre muscolari della gamba sono lacerate, non riescono a trasformare gli impulsi nervosi in forza meccanica. Esito: ritiro. I tempi di recupero però sono brevi e Marco si presenta competitivo al Tour di qualche settimana dopo. Vince due tappe alla sua maniera, staccando tutti e abbandonando gli avversari come naufraghi alla deriva. L’Alpe d’Huez, di nuovo, e Morzine sono espugnate, mentre Ullrich e Virenque si spartiscono le briciole. Chiude al terzo posto nella generale dietro i due, più forti a cronometro, soprattutto il primo, il panzer tedesco di Rostock. Ma il 1998 è l’anno di platino del Pirata: doppietta Giro - Tour, impresa riuscita nella storia solo a sei ciclisti (Coppi, Merckx, Anquetil, Roche, Hinault e Indurain). Imprese punteggiate da epiche cavalcate, come quella al Giro a Selva di Val Gardena dove attacca sul Passo del Pordoi il favorito di quella edizione, lo svizzero Zülle. All’arrivo lascia la vittoria al bravissimo Guerini e indossa la maglia rosa che non mollerà più. Nel frattempo il rivale diventa il russo Tonkov, gelido come la sua terra. Ma a Plan di Montecampione il Pirata scava quel minuto necessario tra sé e l’ex sovietico, dopo un finale di salita durissimo e al cardiopalma. Zülle sperso tra i monti. Marco attacca più volte e a ogni assalto Tonkov resiste, sempre più ingobbito, sempre più pesante, ma resiste. Tenacemente. Alla fine, dopo aver tolto occhiali e bandana, dopo l’ennesimo sfiancante affondo, il russo cede: un metro, due, tre, dieci, cinquanta, cento e l’Italia, non del ciclismo, ma tutta, esplode come in un rigore decisivo di una finale mondiale di calcio. Le bandiere nere del Jolly Roger vengono issate, a segnalare l’attacco decisivo del Pirata e a spingerlo in questa ultima decisiva battaglia. “Vince! Trionfa! Alza le braccia al cielo!” si sgola Adriano De Zan, commosso fino alle lacrime. Il Giro è di Marco. Da lì a breve anche il Tour sarà suo. L’avversario è il fuoriclasse tedesco Jan Ullrich, talento assoluto, ma parzialmente inespresso a causa dei suoi bagordi invernali. A metà Tour il Pirata annovera un ritardo di quasi cinque minuti, frutto avvelenato della lunga cronometro di Corrèze. Ma nella tappa alpina più dura, resa infernale dal freddo, dalla neve, dal vento, dalla nebbia, Marco sferra il suo attacco folle e allo stesso tempo lucido sul Col du Galibier, salita talmente dura da essere avvilente. Ullrich va alla deriva, occhi gonfi, gambe dure, bocca aperta, mentre il Pirata danza sui pedali e semina gli avversari sulle rampe montane. Una rompighiaccio che distrugge gli ostacoli e spiana le pendenze, mentre le zattere alle sue spalle sono sbalzate da una parte all’altra, alla deriva, aspettando che la spiaggia del traguardo segni la fine delle sofferenze. Pantani stravince, conquista la maglia gialla per la prima volta nella sua vita e non la lascia più. Il Tour è suo, dopo 33 anni dall’ultima vittoria italiana di Felice Gimondi. L’Italia è ai piedi del Pirata. A parte le lezioni rifilate ad Armstrong, quello che succederà dal 1999 in poi non riguarda il ciclismo, lo sport, né il Pantani che abbiamo conosciuto, sostenuto e amato. La morte fisica, per il Pirata, sarà anche arrivata quel 14 febbraio del 2004, ma lui vivrà sempre nei cuori e nelle menti di tutti.

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